Il patto di non concorrenza rappresenta un importante strumento di tutela per l’azienda che desidera proteggere i propri interessi economici e il know-how acquisito durante il rapporto di lavoro, nonchè un efficace strumento di retention dei dipendenti che rivestono un ruolo strategico per la società.
Tale patto, regolato dall’art. 2125 del Codice Civile, introduce un limite alla libertà lavorativa del dipendente, imponendo restrizioni sull’attività che il lavoratore potrà svolgere a seguito della cessazione del rapporto, indipendentemente dal motivo dell’interruzione del rapporto, sia in caso di dimissioni che di licenziamento.
Tuttavia, la legge impone condizioni ben definite per assicurare l’equilibrio tra la protezione dell’azienda e la tutela dei diritti del lavoratore.
Condizioni di validità del patto di non concorrenza
Per essere valido, il patto di non concorrenza deve rispettare alcune condizioni stabilite dall’art. 2125 c.c., che possono essere sintetizzate nei seguenti requisiti fondamentali:
1. Forma scritta: la legge impone che il patto di non concorrenza sia redatto per iscritto. Tale requisito serve ad evitare ambiguità e fraintendimenti, tutelando sia il datore di lavoro sia il lavoratore.
2. Durata limitata: Il patto non può estendersi per un tempo indefinito. La legge prevede una durata massima di cinque anni per i dirigenti e tre anni per tutti gli altri lavoratori. Qualsiasi patto che ecceda questi limiti temporali o non preveda espressamente una limitazione temporale è considerato nullo.
3. Ambito territoriale e materiale: le restrizioni devono essere circoscritte a uno specifico ambito territoriale e materiale, ossia a una zona geografica (ad es. alcune regioni, l’intero territorio nazionale, l’Europa o alcuni Stati specifici) e a un ambito di attività e di mansioni che siano strettamente correlati all’attività aziendale. Una limitazione che si estenda su un ambito territoriale troppo vasto o si estenda ad ogni settore di attività potrebbe risultare eccessiva e dunque nulla.
4. Corrispettivo proporzionato: per essere valido, il patto di non concorrenza deve sempre prevedere un corrispettivo determinato e questo deve essere adeguato e proporzionato al sacrificio richiesto al dipendente. Il compenso serve a bilanciare la limitazione imposta al lavoratore. Tale aspetto è stato confermato più volte dalla giurisprudenza, che ha dichiarato nullo il patto quando il corrispettivo era irrisorio o inesistente.
Quest’ultimo aspetto, probabilmente più di ogni altro, riveste un’importanza fondamentale e deve essere ben considerato al momento della stipula di un patto di non concorrenza. La giurisprudenza ha sempre ribadito l’importanza dei requisiti di determinatezza e di adeguatezza del compenso come elementi fondamentali per evitare uno squilibrio eccessivo a sfavore del dipendente.
Misura del corrispettivo
La legge non stabilisce un ammontare fisso per il corrispettivo del patto di non concorrenza; tuttavia, dall’indirizzo giurisprudenziale formatosi in materia si possono ricavare alcune indicazioni e criteri da rispettare.
Tenuto conto della necessità di adeguamento del corrispettivo alla durata dell’obbligo, alla posizione del dipendente e al grado di restrizione imposta, la giurisprudenza ritiene che il corrispettivo per il patto di non concorrenza debba essere quantificato sulla base di una percentuale, indicativamente ricompresa tra il 15% (in caso di limitazioni soltanto ad alcune regioni italiani e/o a limitate mansioni specifiche di un settore) e il 35% (in caso di estensione all’intero territorio italiano), della retribuzione annua lorda percepita dal lavoratore per ogni anno di durata dell’obbligo di non concorrenza richiesto, variabile a seconda della concreta estensione territoriale o della di tipologia di attività ricomprese nel patto.
Percentuali inferiori sono considerate inadeguate e rischiano di invalidare il patto, poiché non compenserebbero sufficientemente il sacrificio richiesto al dipendente.
Occorre inoltre ricordare che il corrispettivo del patto di non concorrenza deve essere ben determinato nel suo esatto ammontare al momento della stipula del patto di non concorrenza.
Molto spesso, infatti, ci troviamo a valutare clausole contrattuali che prevedono un compenso mensile fisso erogato al lavoratore in aggiunta alla retribuzione ordinaria, senza alcuna indicazione dell’ammontare complessivo del corrispettivo e che, pertanto stante la loro indeterminatezza rischiano di essere considerate nulle.
Modalità di erogazione
Sul punto si è ripetuta espressa la giurisprudenza, ribadendo che il corrispettivo del patto di non concorrenza può essere erogato:
1. in un’unica soluzione alla fine del rapporto di lavoro che coincide con il momento in cui inizia il vincolo di non concorrenza.
2. in più rate e quindi anche nel corso del rapporto di lavoro come voce separata in busta paga chiaramente.
In quest’ultimo caso, però, il pagamento deve essere ben identificato come corrispettivo per il patto di non concorrenza, ed è considerato valido purché la sua esatta entità sia stabilita a priori al momento della stipula del contratto. Diversamente, infatti, il compenso dovrebbe intendersi del tutto indeterminato ed indeterminabile, in quanto connesso unicamente alla durata del rapporto e pertanto indeterminato al momento della sua sottoscrizione.
Il requisito della determinatezza del corrispettivo è interpretato dalla giurisprudenza in modo molto rigoroso, venendo estesa la nullità anche a quelle ipotesi in cui pur essendo determinata la misura del corrispettivo, siano previste delle condizioni modificative ed aleatorie del patto stesso.
Si segnala, sul punto, un’interessante ordinanza, n. 10679 del 19.04.2024, della Corte di Cassazione che ha affermato la nullità del patto non concorrenza che abbia condizionato la sua efficacia al mancato esercizio da parte del datore del proprio potere di modificazione delle mansioni del dipendente (c.d. jus variandi ex art. 2103 c.c.).
In altri termini, è stato ritenuto nullo il patto di non concorrenza in un caso in cui il corrispettivo previsto in favore del lavoratore, seppur stabilito nel suo complessivo ammontare e da corrispondersi in rate posticipate alla fine del rapporto, poteva risultare non più dovuto qualora nel corso del rapporto fosse intervenuto un mutamento di mansioni del dipendente, venendo la presenza di tale condizione considerata idonea a rendere del tutto indeterminato il pagamento del corrispettivo al momento della stipula del patto stesso e pertanto nullo l’intero patto.
Conclusioni
Il patto di non concorrenza è uno strumento prezioso per le imprese, ma deve essere utilizzato con attenzione. L’applicazione rigorosa delle condizioni previste dall’art. 2125 c.c. e dei principi giurisprudenziali consente di mantenere l’equilibrio tra il diritto del lavoratore alla libera scelta professionale e l’interesse dell’azienda a tutelare le proprie attività. Quando correttamente predisposto e proporzionato, il patto di non concorrenza può garantire una tutela adeguata e legittima degli interessi aziendali, senza compromettere eccessivamente i diritti dei dipendenti.