È principio fondamentale e soprattutto morale che nell’esercizio della professione l’avvocato deve porre ogni rigoroso impegno nella difesa del proprio cliente, senza però mai travalicare i limiti della rigorosa osservanza delle norme disciplinari e del rispetto che deve essere sempre osservato nei confronti della controparte, del suo legale, dei terzi e del magistrato, in ossequio ai doveri di lealtà, correttezza e ai principi di colleganza.
Il diritto di difesa, quindi, incontra un limite insuperabile nella civile convivenza e nel diritto della controparte, del suo legale o del giudice a non vedersi offeso o ingiuriato nel corso di un procedimento giudiziario.
L’avvocato ha, dunque, il dovere di comportarsi, in ogni situazione, con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive non solo nei confronti del collega avversario ma anche dei magistrati, delle parti e più in generale dei terzi, la cui rilevanza deontologica non è peraltro esclusa dalla provocazione altrui, né dallo stato d’ira o d’agitazione che da questa dovesse derivare (sentenza n. 42 del 25 Febbraio 2020).
Negli ultimi anni il Consiglio Nazionale Forense è intervenuto in più di un’occasione per fare chiarezza sulla normativa, evidenziando i limiti entro i quali è possibile esercitare il diritto di difesa e, quindi, le ipotesi di violazione dell’articolo 52 del Codice deontologico forense in cui incorre l’avvocato, basandosi soprattutto sulla norma di chiusura, secondo cui “la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza”. Del resto, “l’avvocato che faccia uso di espressioni sconvenienti ed offensive, anche mediante accuse rivolte direttamente ad un collega, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di colleganza e correttezza a cui ciascun professionista è tenuto” (in questi termini, Consiglio Nazionale Forense 20 marzo 2014 n. 31).
Secondo il Consiglio Nazionale Forense, il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nell’atto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e dell’adempimento del mandato professionale, oltre il quale si prefigura la violazione dell’articolo 52 del Codice deontologico, va individuato nella intangibilità della persona del contraddittore.
Pertanto, si rientra nella sfera del lecito quando la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, potendosi ammettere anche crudezza di linguaggio e asperità dei toni. Tuttavia, quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo, l’esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti (così, CNF 25 settembre 2017 n. 136; CNF 29 novembre 2012 n. 159).
Di conseguenza, violano l’articolo 52 le espressioni usate dal professionista che rivestono un carattere obiettivamente sconveniente ed offensivo e che si situano ben al di là del normale esercizio del diritto di critica e di confutazione delle tesi difensive dell’avversario, per entrare nel campo, non consentito dalle regole di comportamento professionale, del biasimo e della deplorazione dell’operato dell’avvocato della controparte, dovendo peraltro ritenersi implicito l’«animus iniuriandi» nella libera determinazione di introdurre quelle frasi all’indirizzo di un altro difensore in una lettera ed in un atto difensivo (cfr. CNF 18 dicembre 2017 n. 207; CNF 21 dicembre 2009 n. 185).
L’impianto sanzionatorio è il seguente:
Sanzione attenuata | Sanzione Edittale | Sanzione Aggravata |
Avvertimento | Censura | Sospensione fino ad un anno |
Ai fini del trattamento sanzionatorio della condotta contestata, tuttavia, il Consiglio territoriale è tenuto ad operare un bilanciamento tra la considerazione di gravità dei fatti addebitati ed i concorrenti criteri di valutazione, pure rilevanti, connessi all’età dell’incolpato ed all’assenza di precedenti disciplinari (così, CNF 22 dicembre 2014 n. 204; CNF 27 febbraio 2013 n. 22).