Categoria: Consulenza societaria – contrattualistica d’impresa
Gli obblighi per le aziende in materia di whistleblowing
Direttiva “OMNIBUS” e indicazione annunci di riduzione del prezzo nelle vendite on line.
La Direttiva98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (“direttiva sull’indicazione dei prezzi”) ha come obbiettivo quello di far valutare ai consumatori e dunque raffrontare il prezzo dei prodotti sulla base di informazioni omogenee e trasparenti. Tale direttiva è stata modificata dalla direttiva(UE) 2019/2161 del parlamento europeo e del consiglio che ha introdotto norme specifiche (articolo 6 bis) per gli annunci di riduzione di prezzo cosiddetta “direttiva Omnibus”.
A differenza di altri Stati dell’Unione Europea, che hanno già portato a termine il processo di implementazione della direttiva Omnibus, in Italia l’iter di recepimento è ancora in corso. Il 26 agosto 2022 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 127 del 4 agosto 2022, contenente la Delega al Governo per il recepimento e l’attuazione di alcune direttive e atti normativi dell’Unione europea, tra le quali la direttiva in questione, che è entrata in vigore il 10 settembre 2022; il Governo dovrà adottare i decreti legislativi di recepimento della direttiva Omnibus entro tre mesi da tale data.
Tuttavia, il testo della Diretta Omnibus è già sufficientemente dettagliato ed una delle maggiori innovazioni è la disposizione che introduce una disciplina specifica sugli sconti (definiti come “annunci di riduzione di un prezzo”), finora mai disciplinati in maniera adeguata a livello europeo; ebbene, per tale disposizione c’è margine di immediata applicazione, visto che gli annunci debbono indicare il prezzo precedente (applicato durante un periodo pregresso, non inferiore a 30 giorni) applicato dal professionista per un determinato periodo di tempo prima dell’applicazione dello sconto.
La direttiva Omnibus modifica la Direttiva98/6/CE aggiungendo l’articolo 6 bis:
Qualsiasi annuncio di una riduzione di prezzo deve indicare il prezzo precedentemente applicato dal commerciante per un determinato periodo prima della riduzione di prezzo.
Il prezzo precedente significa il prezzo più basso applicato dal commerciante durante un periodo non inferiore a trenta giorni prima dell’applicazione dello sconto.
Gli Stati membri possono prevedere regole diverse per le merci che possono deteriorarsi o scadere rapidamente.
Se il prodotto è sul mercato da meno di 30 giorni, gli Stati membri possono anche prevedere un periodo più breve di quello previsto al paragrafo 2.
Gli Stati membri possono prevedere che, in caso di aumento graduale della riduzione di prezzo, per prezzo precedente si intenda il prezzo senza riduzione prima della prima applicazione dello sconto.
La norma così come formulata lascia tuttavia aperte alcune questioni interpretative ed a fare chiarezza, al di là delle singole legislazioni nazionali, è intervenuta la Comunicazione della Commissione Europea “Orientamenti sull’interpretazione e l’applicazione dell’art. 6 bis della direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori” (2021/C 526/02).d e chiarisce il significato di riduzione di prezzo e dunque dettaglia come deve essere annunciata:
– in termini percentuali (%) ad esempio sconto del 20% o assoluti, ad esempio sconto di 10 euro;
– indicando un nuovo prezzo inferiore assieme al prezzo indicato in precedenza (più elevato). Esempio: “ora 50 euro” – “in precedenza 100 euro”; oppure 50 euro /100 euro; –
-mediante tecniche promozionali ad esempio “acquista oggi e non paghi IVA”;
– presentando il prezzo attuale come prezzo di lancio o simile ed indicando un prezzo più elevato quale prezzo normale applicato in futuro.
La comunicazione chiarisce che l’art. 6 bis, da un lato si applica indipendentemente dal fatto che l’annuncio di una riduzione di prezzo indichi una riduzione misurabile o meno. Ad esempio, anche gli annunci quali saldi, offerte speciali, o offerte Black Friday che creano l’impressione di una riduzione di prezzo sono soggetti all’articolo 6 bis e dall’altro, che l’articolo non si applica agli annunci pubblicitari di carattere generale che promuovono l’offerta del venditore confrontandola con quelle di altri venditori senza evocare o creare l’impressione di una riduzione di prezzo, così come non si applica nemmeno ad altre tecniche di promozione di vantaggi di prezzo, quali i confronti tra prezzi o le offerte vincolate.
In merito all’indicazione del prezzo precedente, deve essere precisato che la direttiva sebbene faccia rinvio anche alle singole norme nazionali prevede che gli Stati membri non possono prevedere un periodo inferiore a 30 giorni per la determinazione del prezzo precedente. Lo scopo di tale periodo di riferimento è evitare che i professionisti alterino i prezzi e ne presentino riduzioni fasulle, ad esempio aumentando il prezzo per un breve periodo e poi applicando la riduzione che induce i consumatori in errore.
Relativamente alle riduzioni di prezzo graduali, i singoli Paesi possono decidere nelle proprie norme di recepimento diverse modalità applicative, tuttavia la direttiva riconosce espressamente che in caso di aumento graduale della riduzione, come potremo definire il periodo dei saldi, si possa far riferimento esclusivamente al prezzo precedente individuato nel prezzo più basso applicato nei trenta giorni antecedenti la prima riduzione.
A tal proposito una riflessione deve essere fatta sul prezzo iniziale che deve essere indicato in caso di due campagne successive ma separate nell’arco di un periodo temporale inferiore ai 30 giorni.
Il professionista che annuncia la riduzione di prezzo deve indicare il prezzo più basso che ha applicato per il bene o i beni interessati almeno negli ultimi trenta giorni precedenti la riduzione (“prezzo precedente”). Questo prezzo più basso indicato include qualsiasi precedente prezzo ridotto durante questo periodo.
Pertanto la riduzione del prezzo deve essere presentata utilizzando il prezzo “precedente” indicato come riferimento, ovvero l’eventuale riduzione indicata in percentuale deve essere basta sul prezzo “precedente”. Ad esempio quando l’annuncio è uno sconto del 50% e il prezzo più basso degli ultimi trenta giorni è 100 euro, il venditore dovrà indicare 100 euro come prezzo precedente da cui calcolare la riduzione del 50% anche se il prezzo di listino era 160 euro.
In sostanza il prezzo indicato deve essere quello “precedente” (il più basso applicato nei trenta giorni antecedenti alla riduzione) all’inizio di ogni riduzione e può essere mantenuto per tutta la riduzione. La riduzione può essere pubblicizzata anche per un periodo più lungo di trenta giorni e se è ininterrotta, il prezzo “precedente” che deve essere indicato resta il prezzo più basso applicato almeno nei trenta giorni precedenti la riduzione.
Infine, con riferimento alla fattispecie dei Saldi privati, il testo della direttiva non prevede una disciplina specifica e la Comunicazione della Commissione Europea è intervenuta sull’argomento chiarendo alcuni aspetti.
Anzitutto, l’articolo 6 bis della direttiva sull’indicazione dei prezzi non si applica ai programmi di fedeltà dei clienti messi in atto dal venditore, quali buoni o carte di sconto, che permettono al consumatore di usufruire di uno sconto sul prezzo di tutti i prodotti o su specifiche gamme di prodotti del venditore per periodi di tempo continui e prolungati (ad esempio sei mesi o un anno), o grazie ai quali è possibile accumulare crediti (punti) in vista di acquisti futuri. L’articolo 6 bis della direttiva in questione non si applica nemmeno alle riduzioni dei prezzi personalizzate, che non prevedono l’annuncio della riduzione di prezzo.
Per contro, si applicherà alle riduzioni di prezzo che, seppure presentate come “personalizzate”, sono in realtà offerte/annunciate ai consumatori in generale. Una situazione di questo tipo potrebbe verificarsi qualora il professionista renda disponibili dei «buoni» o codici di sconto a potenzialmente tutti i consumatori che ne visitano il negozio fisico od online durante periodi specifici. Tra gli esempi figurano campagne quali:
–
“oggi sconto del 20 % usando il codice XYZ”; o
“questo fine settimana sconto del 20 % su tutti gli articoli solo per gli iscritti al programma di fedeltà”,
in cui il codice/programma di fedeltà è accessibile/utilizzato da molti clienti o dalla maggior parte di essi.
In questi casi il professionista deve rispettare gli obblighi di cui all’articolo 6 bis, ossia garantire che il prezzo «precedente» di tutti i beni interessati sia il prezzo più basso pubblicamente disponibile praticato negli ultimi 30 giorni.
In conclusione, si evidenzia che il mancato rispetto di quanto previsto dalla direttiva Omnibus introduce sanzioni che possono arrivare fino al 4% del fatturato annuo della società nello Stato membro (o negli Stati Membri interessati) in cui si è verificata la violazione, o di 2 milioni di euro nei casi in cui non siano disponibili informazioni sul fatturato. Inoltre, gli Stati Membri possono prevedere e introdurre sanzioni più elevate rispetto a quelle indicate nella Direttiva.
“Women on Boards”: approvata la direttiva che stabilisce le quote rosa nei Cda delle società quotate europee
Dopo 10 anni di attesa è stato raggiunto l’accordo definitivo tra Commissione, Consiglio e Parlamento Europeo per trasformare in legge la direttiva “Women on Boards” che mira a introdurre procedure di assunzione trasparenti nelle aziende dell’Unione Europa, così da permettere che almeno il 40% dei posti ai vertici esecutivi siano occupati da donne.
Entro il 30 giugno 2026, nelle società quotate in borsa dell’Unione Europea, almeno il 40% degli incarichi da amministratori non esecutivi o il 30% di tutti incarichi da amministratori dovranno essere ricoperti da donne. Nei casi in cui i candidati presentino pari qualifiche per una posizione la priorità dovrà andare al candidato appartenente al genere meno presente.
La Commissione europea ha presentato per la prima volta la sua proposta nel 2012 e il Parlamento europeo ha adottato la sua posizione negoziale nel 2013, per poi mantenere una situazione di stallo per quasi 10 anni. Ad oggi, solo il 30,6% dei membri del consiglio di amministrazione delle più grandi società quotate in borsa dell’Ue sono donne, con differenze significative tra gli Stati membri che vanno dal 45,3% in Francia al 8,5% a Cipro.
Vediamo nel dettaglio cosa prevede la direttiva.
OGGETTO:
La direttiva mira a raggiungere una rappresentanza più equilibrata di uomini e donne all’interno degli organi amministrativi di società quotate stabilendo misure efficaci per realizzare tale equilibrio.
Le società quotate dovranno raggiungere entro il 30 giugno 2026 uno dei seguenti OBIETTIVI: 40% degli incarichi da amministratori non esecutivi o il 30% di tutti incarichi da amministratori dovranno essere ricoperti dal candidato del sesso sottorappresentato.
MEZZI PER RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI:
Le società quotate dovranno adeguare il processo di selezione dei candidati per la nomina di amministratore. La selezione dovrà seguire i seguenti criteri:
analisi comparativa del titolo di studi di ciascun candidato
modalità di presentazione delle domande non discriminatorie
predisposizione di avvisi di posto vacante
processo di preselezione
indicazioni chiara dei criteri di selezione
Nella scelta di candidati in situazione di pari di idoneità, competenza e professionalità, dovrà essere data la priorità al candidato del sesso sottorappresentato, salvo casi eccezionali.
Gli Stati Membri dovranno adottare misure necessarie affinché, nel caso in cui un candidato non selezionato contesti la violazione degli obblighi da parte della società quotata, quest’ultima abbia l’onere di provare dinanzi alle Autorità competenti che non vi è stata alcuna violazione.
OBBLIGHI DI TRASPARENZA:
Le società quotate saranno tenute a fornire annualmente alle Autorità competenti informazioni sulla rappresentanza di genere all’interno degli organi amministrativi, con specifica distinzione fra amministratori esecutivi e non esecutivi e con indicazione delle misure adottate per il raggiungimento degli obiettivi prescritti dalla direttiva. Le società saranno altresì tenute a pubblicare tali informazioni all’interno dei propri siti web.
Gli Stati Membri dovranno pubblicare ed aggiornare periodicamente un elenco delle società quotate che hanno raggiunto uno degli obiettivi.
CONTROLLO – SANZIONI:
Gli Stati Membri dovranno designare uno o più organismi competenti per l’analisi, il monitoraggio e la promozione dell’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate.
Sarà inoltre rimesso agli Stati Membri il compito di stabilire, in base alla normativa nazionale, le sanzioni applicabili in caso di violazione degli obblighi posti dalla direttiva che potranno essere di natura pecuniaria o potranno comportare la nullità della nomina del candidato eseguita in violazione delle norme sopra citate.
Le sanzioni devono in ogni caso essere effettive, proporzionate e dissuasive.
LEGGE APPLICABILE:
Per l’applicazione della direttiva sarà competente lo Stato Membro in cui la società quotata ha la sede legale e sarà applicabile la legge di tale Stato Membro.
ESCLUSIONE:
La direttiva non si applica alle piccole e medie imprese (PMI).
REVISIONE:
Entro un anno dall’applicazione della direttiva gli Stati membri dovranno predisporre una relazione sull’attuazione della stessa avendo cura di indicare le misure adottate per il raggiungimento degli obiettivi, sanzioni applicate, progressi fatti verso una rappresentanza più equilibrata fra uomo e donna.
ENTRATA IN VIGORE:
La direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.
Costituzione online delle società: entro agosto 2021 obbligo di recepimento della Direttiva UE 2019/1151
Entro il 1° agosto 2021 gli Stati UE dovranno adeguare il diritto nazionale per permettere, in alternativa alla procedura ordinaria, la costituzione online di Srl e Srls, la registrazione delle succursali e la presentazione di documenti e informazioni.
Secondo la direttiva UE 2019/1151 sull’utilizzo di strumenti e processi digitali nel diritto societario, la costituzione delle società dovrà poter essere completamente svolta telematicamente, senza che i richiedenti debbano comparire di persona dinanzi a un’autorità o a qualsiasi persona o organismo incaricato a norma del diritto nazionale di occuparsi di qualunque aspetto della costituzione online delle società, compresa la redazione dell’atto costitutivo.
L’obiettivo è quello di dimezzare le tempistiche di registrazione delle società e delle succursali e di ridurre in maniera significativa i relativi costi.
Dovranno essere resi disponibili, per Srl e Srls, i modelli sui portali o sui siti web per la registrazione, accessibili mediante lo Sportello digitale unico: il contenuto dei modelli dovrà essere disciplinato dal diritto nazionale.
Dovrà comunque essere mantenuta la possibilità di redigere gli atti costitutivi in forma di atto pubblico, se il diritto nazionale lo prevede.
IDENTIFICAZIONE DEI RICHIEDENTI
Per l’identificazione “a distanza” dei soggetti sottoscrittori potranno essere usati i mezzi adottati nell’ambito del regime di identificazione elettronica approvato a livello nazionale o quelli emessi in un altro Stato UE riconosciuti ai fini dell’autenticazione transfrontaliera nel rispetto delle condizioni del regolamento (UE) n. 910/2014 (regolamento e-IDAS).
Se giustificato da motivi di interesse pubblico per impedire l’usurpazione o l’alterazione di identità, gli Stati UE potranno adottare misure per richiedere una presenza fisica per la verifica dell’identità del richiedente dinanzi a un’autorità, persona od organismo incaricati dal diritto nazionale di trattare tali procedure, compresa l’elaborazione dell’atto costitutivo di una società, ma tale richiesta potrà essere avanzata solo “caso per caso” se vi sono motivi di sospettare una falsificazione dell’identità, mentre qualsiasi altra fase della procedura dovrà essere completata online.
Gli Stati UE dovranno stabilire le procedure per:
garantire che i richiedenti abbiano la capacità giuridica e la capacità di rappresentare la società;
predisporre i mezzi per la verifica dell’identità dei richiedenti;
verificare la legittimità dell’oggetto e della denominazione della società (se tali controlli sono previsti dal diritto nazionale);
verificare la nomina degli amministratori.
VERSAMENTO CAPITALE SOCIALE E PAGAMENTI
Per l’eventuale versamento del capitale sociale, il pagamento dovrà poter essere effettuato online su un conto corrente presso una banca che opera nell’Unione Europea. Anche la prova di tali pagamenti dovrà poter essere fornita online.
Gli eventuali pagamenti previsti per gli oneri della procedura dovranno essere online, consentendo “l’identificazione della persona che ha effettuato il pagamento” attraverso un servizio fornito da un istituto finanziario o da un prestatore di servizi di pagamento stabilito in uno Stato membro.
OBBLIGHI INFORMATIVI
La Direttiva prevede che vengano “rese disponibili informazioni concise e agevoli, gratuitamente, in almeno una lingua ampiamente compresa dal maggior numero possibile di utenti transfrontalieri, sui portali o sui siti web per la registrazione accessibili mediante lo sportello digitale unico, per assistere nella costituzione di società e nella registrazione di succursali”.
Le informazioni dovranno almeno riguardare le procedure previste per la costituzione delle società e per la registrazione delle succursali, una sintesi delle norme applicabili per diventare membri degli organi di amministrazione, gestione o vigilanza di una società e le altre modalità operative riguardanti la costituzione.
TEMPI DI COSTITUZIONE
La costituzione online dovrà essere completata entro i seguenti termini:
5 giorni lavorativi, se la società sarà costituita esclusivamente da persone fisiche che utilizzino i modelli di cui all’art. 13-nonies;
10 giorni lavorativinegli altri casi, a decorrere dall’ultimo degli adempimenti previsti dalla Direttiva (la data di adempimento di tutte le formalità richieste per la costituzione online, la data del pagamento di una commissione di registrazione, il pagamento del capitale sociale in contanti, etc).
In caso di ritardo il richiedente dovrà essere informato sulle motivazioni di tale ritardo.
AMMINISTRATORI INTERDETTI
Gli Stati membri dovranno introdurre a livello nazionale norme che disciplinino il caso in cui la persona che fa parte dell’organo amministrativo sia stata interdetta dalla funzione di amministratore.
TEMPI DI RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA
Per il recepimento delle nuove disposizioni sono previsti per gli Stati membri i seguenti termini:
entro il 1° agosto 2021 gli Stati dovranno trasporre nel diritto interno la direttiva (UE) 2019/1151, adottando le necessarie opportune disposizioni legislative, regolamentari e amministrative e informando immediatamente la Commissione;
entro il 1° agosto 2023 gli Stati dovranno:
à prevedere le procedure di costituzione online delle società, precisarne le modalità, mettere a disposizione i modelli sui portali o sui siti web per la registrazione accessibili mediante lo sportello digitale unico);
à stabilire le norme sull’interdizione degli amministratori
à prevedere la possibilità di verificare elettronicamente l’origine e l’integrità di informazioni e documenti societari presentati online;
à costituire un fascicolo presso il registro di commercio o presso il registro delle imprese per ogni società iscritta e predisposizione dell’identificativo unico europeo, “EUID”.
In deroga alla norma che fissa la scadenza del 1° agosto 2021, gli Stati membri che incontrano particolari difficoltà nel recepimento della direttiva (UE) 2019/1151 hanno il diritto di beneficiare di una proroga di massimo un anno, a patto che forniscano i “motivi oggettivi della necessità di tale proroga”: gli Stati membri dovranno notificare alla Commissione, entro il 1° febbraio 2021, l’intenzione di avvalersi della proroga.
Uso del marchio altrui per il posizionamento sul web: keyword advertising
Ad oggi è molto diffuso l’utilizzo dei servizi di posizionamento a pagamento (Ads), per la sponsorizzazione di attività aziendali , mediante la creazione di annunci e la scelta di parole chiave pertinenti alle esigenze e alle ricerche dell’utente. Tale attività non presenta particolari criticità quando le parole utilizzate sono di uso comune oppure quando il marchio utilizzato è di proprietà del soggetto che crea l’inserzione. Diverso, invece, il caso in cui un’impresa utilizzi termini che corrispondono a marchi o ad altri segni distintivi di un’altra impresa o comunque quando l’inserzione sia creata da un soggetto terzo.
Al fine di inquadrare gli obblighi e le facoltà delle parti, è necessario tener presente il quadro normativo di riferimento contenuto nel Codice della Proprietà Industriale, in particolare agli artt. 20 e 21. L’art. 20 del Codice della Proprietà Industriale prevede che: “I diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio” nonché nel diritto “di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica:
a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;
c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.”
Tale diritto esclusivo, trova i limiti nell’art. 21 del Codice Proprietà Industriale, che prevede che il titolare, nello svolgimento della propria attività economica non possa vietare a terzi, l’uso del proprio nome e cognome, l’uso di indicazioni relative alla specie alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto e della prestazione del servizio, ovvero ad altre caratteristiche proprie del prodotto medesimo (il c.d. uso descrittivo), nonché l’uso del marchio di impresa se necessario per indicare la destinazione di un prodotto e/o servizio (es. accessori e/o pezzi di ricambio) purché tale uso sia conforme ai principi di correttezza professionale, ossia non determini il verificarsi di illeciti concorrenziali e non crei confusione all’interno del mercato.
Alla luce della normativa riportata, l’uso di marchi altrui come parole chiave per servizi di posizionamento di Google può astrattamente costituire violazione di marchio, tuttavia è necessaria una valutazione caso per caso al fine di comprendere le ragioni e la natura dell’utilizzo di quel determinato marchio come parola chiave. Infatti tra le parti potrebbe essere intercorso un accordo commerciale oppure, dall’analisi della fattispecie in concreto, potrebbe emergere l’applicazione del regime di libera concorrenza e pubblicità comparativa, pertanto è necessario valutare se la restrizione pubblicitaria rivela un grado sufficiente di danno alla concorrenza da poter essere considerata una restrizione della concorrenza per oggetto ai sensi dell’articolo 101.
RAPPORTI TRA IMPRESE CONCORRENTI:
La giurisprudenza comunitaria nel caso “Interflora” – Marks & Spencer (C-323/09) avente ad oggetto l’utilizzo, da parte di Marks & Spencer, della keyword “Interflora” per posizionare un annuncio di consegna di fiori a domicilio, senza riportare il marchio Interflora nel testo dell’annuncio, ha affermato che “il titolare di un marchio ha il diritto di vietare ad un concorrente di fare pubblicità a prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando il predetto uso è idoneo a violare una delle funzioni del marchio”. La Corte evidenzia che l’assolutezza della tutela contro l’uso non consentito di segni identici ad un marchio, per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, deve essere comunque contestualizzata, in quanto la tutela offerta dalla normativa mira solo a garantire che il marchio possa adempiere le proprie funzioni.
Le restrizioni imposte ai distributori nell’utilizzo della denominazione del brand sono da ritenersi illegittime e in violazione della normativa sulla concorrenza, pertanto non possono essere oggetto di accordo tra le parti, in particolare qualora ad imporle sia il brand stesso, anche indirettamente e non attraverso la sottoscrizione di accordi commerciali.
Con la decisione 17 dicembre 2018, la Commissione Europea, nel caso Guess, ha sanzionato l’azienda in quanto la stessa aveva imposto ai propri distributori indipendenti limitazioni per l’utilizzo del marchio “Guess” in particolare in Google Adwords.
La condotta di Guess si è concretizzata nel vietare ai rivenditori autorizzati, sia monomarca che multimarca, l’utilizzo o la possibilità di fare offerte su nomi e marchi commerciali di Guess come parole chiave in Google. Tale previsione non era inclusa negli accordi commerciali, ma posta in essere sistemticamnete ogni volta che un retailer chiedeva a Guess di utilizzare la denominazione in Google Adwords. Ciò in ragione del fatto che tali autorizzazioni avrebbero comportato un incremento dei costi per Guess stessa ed avrebbero diminuito la visibilità a discapito dei retailer.
La Commissione, richiamando la giurisprudenza della Corte Europea (cfr. Coty Case) ha affermato che la disciplina dei marchi autorizza il titolare di un marchio a vietare all’inserzionista pubblicitario di pubblicizzare beni o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato utilizzando una parola chiave identica a tale marchio e selezionata dall’inserzionista senza il consenso del titolare, soltanto in circostanze in cui la pubblicità non consente o rende difficile ad un utente medio di Internet, accertare se i beni o servizi provengono dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata ad esso o da una terza parte.
Tale giurisprudenza non può essere invocata per giustificare una limitazione della capacità dei rivenditori autorizzati nei sistemi di distribuzione selettiva, che vendono prodotti reali, poiché in questo caso non vi è alcun rischio di confusione come all’origine dei prodotti e non ricade nello scopo di tutelare l’immagine del marchio.
Anche in Italia la giurisprudenza è intervenuta, il Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa, con sentenza 3280 del 2009, ha ritenuto illegittimo l’utilizzo, come parola chiave in una campagna Ads del marchio di nota società di noleggio, da parte di società concorrente; scelta che, secondo il Tribunale era evidentemente tesa a sfruttare la notorietà del marchio a proprio vantaggio configurando, nel caso specifico, un’attività confusoria, sviamento della clientela e violazione del marchio per l’individuazione di servizi offerti dall’inserzionista, sicuramente affini a quelli della società il cui marchio era stato inserito come parola chiave.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è stata chiamata a decidere, nel mese di febbraio del 2015, su un caso di utilizzo di marchio altrui tra le parole chiave relative ad una campagna ads. In ordine all’utilizzo del marchio di nota società veneta di arredamento cucine da parte di società concorrente, senza che vi fosse alcun rapporto di natura commerciale, l’Autorità ha ritenuto che la condotta posta in essere dalla società inserzionista sia ingannevole e determini confusione tra i consumatori, così configurando un’ipotesi di pratica commerciale scorretta, ai sensi degli articoli 20, comma 2, 21, comma 1, lettere a) ed f), e comma 2, lettera a), del Codice del Consumo, ne vieta la diffusione o continuazione e irroga alla Società una sanzione amministrativa pecuniaria di 11.000 € (undicimila euro).
RAPPORTI CON L’INSERZIONISTA TERZO:
Per quanto riguarda l’aspetto della responsabilità dei motori di ricerca, la Corte di Giustizia Europea in data 23 marzo 2010, nel caso “Google France” ha delineato le responsabilità dei motori di ricerca nel caso in cui si verifichino illeciti concorrenziali realizzati dagli inserzionisti.
La Corte ha affermato che Google, al contrario dell’inserzionista, può beneficiare dell’esenzione di responsabilità prevista dall’art. 14, n. 1 della Direttiva 2000/31CE per l’attività di catching, a condizione che si limiti ad attività di ordine “meramente tecnico, automatico e passivo” e che non abbia nessuna conoscenza o controllo sulle informazioni.
Tale condizione non viene meno in considerazione del fatto che il servizio sia offerto a pagamento e che sia proprio in forza di tale pagamento che si visualizzano le inserzioni, ma l’illecito si configura allorché l’annuncio che accompagna il link sponsorizzato induca l’utente di Internet a ritenere la sussistenza di un “collegamento economico” tra l’autore dell’annuncio o il titolare del sito, ovvero quando il medesimo sia talmente vago da non consentire all’utente “normalmente informato e ragionevolmente attento” di sapere, sulla base di tale annuncio e del link, se tale collegamento sussista o meno.
In sostanza la responsabilità di Google residua a quelle ipotesi in cui, su segnalazione, non si intervenga prontamente alla rimozione della keyword segnalata come oggetto di atto di concorrenza sleale e contraffazione.
Cessione di azienda
A distanza di 6 mesi dalla sottoscrizione di un contratto di cessione di un’azienda che svolge attività di bar/pub, la società cessionaria ha riscontrato diverse problematiche. In particolare:
malfunzionamenti degli impianti e delle attrezzature dell’azienda ceduta, che hanno determinato una spesa aggiuntiva per la riparazione di circa 10.000,00 euro;
mancanza della documentazione necessaria per il regolare esercizio dell’attività (certificato di agibilità, dichiarazione di conformità dell’impianto elettrico, valutazione impatto acustico, autorizzazione per l’insegna, documentazione tecnica su portata massima del solaio);
ricevimento di due verbali di accertamento e contestazione da parte della Polizia Municipale, relativi, il primo all’utilizzo dell’impianto di diffusione sonora in mancanza della verifica dei livelli di pressione sonora ed il secondo, al mancato rispetto dell’art. 13 comma 2 lett. a del DPGR 41/R/09, in quanto lo spazio libero tra i sanitari e l’ingombro di apertura del bagno non garantivano la rotazione delle sedie a rotelle.
Lo studio, sulla base di una Relazione Tecnica redatta da un tecnico, ha inviato al cedente una formale lettera di contestazione delle irregolarità riscontrate, chiedendo un incontro congiunto volto ad ottenere la consegna della documentazione mancante e la verifica in contraddittorio delle numerose difformità.
All’esito di una trattativa durata 5 mesi, le parti hanno raggiunto un accordo transattivo che ha previsto:
il rimborso dell’80% delle spese sostenute per il ripristino degli impianti e delle attrezzature mediante compensazione con il prezzo di cessione;
la rinuncia del cedente alla restituzione della cauzione da parte della cessionaria, a seguito del subentro nel contratto di locazione del fondo commerciale ex art. 36 L.392/1978;
emissione di due effetti cambiari a garanzia del pagamento delle sanzioni di cui ai verbali di accertamento sopra indicati.
L’accordo transattivo ha avuto regolare adempimento, con la restituzione al cedente delle cambiali consegnate in garanzia.