Approfondimenti Contrattualistica d'impresa

E-commerce: Regolamento UE 2019/1150 – nuove regole per marketplace e motori di ricerca

A decorrere dal 12 luglio 2020 trovano applicazione in tutti gli Stati membri dell’UE le norme del Regolamento (UE) 2019/1150 che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online.

 

CHI RIGUARDA:

Il regolamento si applica ai servizi di intermediazione online (marketplace) e ai motori di ricerca online forniti agli utenti commerciali e ai titolari di siti web aziendali che hanno il luogo di stabilimento o di residenza nell’Unione europea e che, tramite tali servizi e motori di ricerca, offrono beni o servizi ai consumatori dell’UE.

Non si applica, invece, ai servizi:

peer-to-peer (tra consumatore e consumatore), esclusivamente B2B (Business to Business) ossia che non risultino funzionali all’instaurazione di rapporti commerciali con i consumatori
di pagamento online
di pubblicità online che non implichino una relazione contrattuale con il consumatore.

 

OBIETTIVI:

garantire maggiore trasparenza nelle condizioni contrattuali applicate agli utenti commerciali dai marketplace e dai motori di ricerca, in considerazione della maggior dipendenza che le aziende hanno verso tali soggetti per poter offrire i propri beni e servizi a consumatori e utenti.

 

CONTENUTO:

REGOLE PER LA PREDISPOSIZIONE CLAUSOLE CONTRATTUALI:

Uso di linguaggio semplice e comprensibile nella predisposizione delle clausole.
Facile reperibilità da parte degli utenti dei documenti contrattuali in tutte le fasi del rapporto contrattuale.
Indicazione espressa all’interno dei contratti delle ragioni che giustificano la facoltà di sospendere, cessare o limitare, in tutto o in parte, la fornitura dei servizi della piattaforma online. In ogni caso il fornitore del servizio dovrà comunicare con adeguato preavviso la decisione di sospensione o cessazione. Contro tale decisione l’utente avrà diritto di proporre un reclamo.
Obbligo di comunicazione delle modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali da parte del gestore della piattaforma, con preavviso di almeno 15 giorni, salvo che le modifiche siano necessarie per adempiere ad un obbligo normativo o per far fronte ad un pericolo imminente connesso alla difesa dei servizi, dei consumatori ed utenti commerciali da frodi, malware, spam, violazioni dei dati o rischi di sicurezza informatica. Durante il periodo di preavviso l’utente commerciale ha facoltà di risolvere il contratto, ma può comunque rinunciarvi o tramite dichiarazione espressa o con un’azione chiara ed affermativa (come, ad esempio, qualora carichi un’applicazione su un marketplace di software).
Obbligo di trasparenza dell’identità dell’utente commerciale che fornisce i beni o servizi tramite la piattaforma.
divieto di applicazione retroattiva delle modifiche contrattuali e obbligo di includere informazioni in merito alla possibilità di risoluzione del contratto da parte dell’utente commerciale e dell’esistenza di un accesso tecnico e contrattuale (o della mancanza di tale accesso) ai dati forniti o generati dall’utente commerciale, che sono conservati dalla piattaforma dopo la cessazione del contratto.

OBBLIGHI DI TRASPARENZA PER I CRITERI DI POSIZIONAMENTO:

Obbligo di inserimento nei documenti contrattuali dei principali parametri che determinano il posizionamento ed i criteri di contemperamento tra questi ed ulteriori parametri per i fornitori di servizi di intermediazione online.
Obbligo di indicazione dei parametri più significativi per determinare il posizionamento ed il loro rapporto con gli altri parametri eventualmente utilizzati, per i motori di ricerca. Tale descrizione deve essere collocata in maniera facilmente accessibile e redatta in un linguaggio semplice e comprensibile. Obiettivo dell’obbligo di trasparenza è di far comprendere chiaramente all’utente commerciale in quale misura i meccanismi utilizzati dal motore di ricerca per il posizionamento nei risultati tengano conto delle caratteristiche dei prodotti e dei servizi offerti, della pertinenza di tali caratteristiche con il pubblico di consumatori nonché la rilevanza delle caratteristiche grafiche dei siti web utilizzati dagli utenti commerciali.

TRATTAMENTO DIFFERENZIATO:

Obbligo per il gestore della piattaforma o del motore di ricerca di inserimento nel contratto della descrizione di qualunque trattamento differenziato che possa essere riservato ai prodotti o ai servizi offerti ai consumatori attraverso i servizi di intermediazione online dal fornitore di servizi stesso o da utenti commerciali controllati da detto fornitore, da un lato, e ad altri utenti all’utilizzo dei dati (personali e non), di cui la piattaforma o il motore di ricerca è in possesso, che sono forniti dall’utente commerciale o dai consumatori stessi per l’uso dei servizi della piattaforma o del motore di ricerca o generati tramite l’utilizzo di tali servizi, al posizionamento o altre impostazioni che possono influire sull’accesso alle offerte presenti sulla piattaforma, ai corrispettivi diretti o indiretti addebitati e a qualsiasi condizione o corrispettivo particolare addebitato per l’uso dei servizi, funzionalità o interfacce tecniche.

REGOLE PER L’ACCESSO AI DATI:

Obbligo di inserire all’interno dei contratti una descrizione circa la possibilità o meno accedere ai dati personali o ad altri dati che sono forniti o generati sia dai consumatori sia dall’utente commerciale stesso, e nel caso in cui sia possibile accedere le categorie di dati interessate e le condizioni di accesso.
Obbligo di fornire una specifica informativa anche sulla possibilità di accesso da parte dell’utente commerciale dei dati in forma aggregata nonché se sia prevista o meno la condivisione con terzi dei dati e, qualora detta condivisione non sia necessaria al funzionamento della piattaforma, lo scopo che intende soddisfare tale condivisione e la possibilità o meno da parte dell’utente commerciale di opporsi alla stessa.

RECLAMI E CONTROVERSIE

Obbligo di inserimento da parte delle piattaforme online di meccanismi interni di gestione dei reclami
Indicazione nei termini e condizioni contrattuali dei meccanismi di gestione dei reclami con predisposizione di specifiche informazioni sul loro funzionamento da rendere disponibili al pubblico.
Adozione di strumenti di mediazione che assicurino specifici requisiti (indipendenza, economicità, conoscenza delle tematiche di riferimento e delle lingue).
possibilità per le associazioni di categoria o per particolari organismi pubblici, che gli Stati membri devono individuare, di agire nei confronti dei fornitori dei servizi di intermediazione onlineo di motori di ricerca contro le eventuali violazioni delle previsioni del Regolamento.

 

Appalti pubblici Approfondimenti

Le nuove procedure di affidamento dei contratti pubblici previste dal D.L. Semplificazione.

Il decreto legge n. 76/2020 “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”,
entrato in vigore dal 17 luglio 2020, introduce la deroga al comma 2 dell’articolo 36 (ed al comma 2 dell’articolo 157) del Codice dei contratti pubblici.
Il decreto legge “semplificazione” al fine di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché al fine di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19, fermo quanto previsto dagli articoli 37 e 38 del decreto legislativo n. 50 del 2016, prevede che le Stazioni Appaltanti possono procedere all’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35 del decreto legislativo n. 50 del 2016 secondo le seguenti modalità:
a) affidamento diretto per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a € 150.000;
b) procedura negoziata senza bando sempre nel rispetto di un criterio di rotazione:
– previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, per servizi e forniture di importo pari o superiore a €. 150.000 e fino alla soglia di €. 214.000 e per lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro,
– previa consultazione di almeno dieci operatori economici, ove esistenti, per lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiore a un milione di euro,
– previa consultazione di almeno quindici operatori economici, ove esistenti, per lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie di €. 5.350.000,
c) l’avviso sui risultati della procedura di affidamento deve contenere anche l’indicazione dei soggetti invitati,
d) gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga gli elementi descritti nell’articolo 32, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016,
e) per le modalità di affidamento di cui all’art. 1 D.L. n. 76/2020 la Stazione Appaltante non chiede le garanzie provvisorie di cui all’articolo 93 del decreto legislativo n. 50 del 2016, salvo che, in considerazione della tipologia e specificità della singola procedura, ricorrano particolari esigenze che ne giustifichino la richiesta, che la stazione appaltante indica nell’avviso di indizione della gara o in altro atto equivalente (nel caso in cui sia richiesta la garanzia provvisoria, il relativo ammontare è dimezzato rispetto a quello previsto dal medesimo articolo 93).

La norma è applicabile fino al 31 luglio 2021.

Dunque, si prospettano due tipi di affidamenti:
– Affidamento senza confronto di preventivi;
– Procedura negoziata senza pubblicazione di bando.

Da notare, comunque, che il Decreto Semplificazioni insiste nel richiamare il principio di rotazione rappresentata dall’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione. Pertanto, anche in applicazione della deroga prevista dal decreto semplificazioni, il gestore uscente deve essere escluso dalla procedura negoziata a prescindere dai modi in cui aveva ottenuto il precedente affidamento (Cons. Stato, V, 13.12.2017, n. 5854; Tar Toscana, Firenze, Sez. I, 2 gennaio 2018 n. 17).
Si ricorda che, anche con recentissime pronunce, la giurisprudenza ha rilevato che il principio di rotazione opera nelle “procedure negoziate” in cui l’amministrazione appaltante “non” consente, alla fonte, la partecipazione da parte di “tutti” gli imprenditori alla gara, ma solo ad una parte “selezionata”, da essa stessa, tramite la scelta nell’individuazione dei soggetti da invitare (ex multis Tar Sardegna, Cagliari, 2 gennaio 2020, n. 8).

Approfondimenti

I contratti a termine durante l’emergenza sanitaria: le deroghe alla disciplina generale previste dal D. Cura Italia e dal D. Rilancio.

La disciplina generale del contratto a tempo determinato

Il contratto a termine è disciplinato dal d. lgs. n. 81/2015, come modificato dal D. Dignità e costituisce un’eccezione al modello generale rappresentato dal contratto di lavoro a tempo indeterminato. Proprio in ragione della sua natura eccezionale rispetto al modello comune è sottoposto ad una serie di condizioni e requisiti di legittimità, divenute oggetto di numerosi interventi e successive modifiche legislative orientati ad una maggiore o minore restrizione a seconda della finalità perseguita di riduzione della precarietà ovvero di maggiore flessibilizzazione del mercato del lavoro.

Le regole generali attualmente in vigore possono essere sintetizzate come segue:

La durata del contratto di lavoro a tempo determinato “a-causale”, ovvero non sorretto da alcune ragione giustificatrice della temporaneità, non può essere superiore ai 12 mesi.
Al superamento dei 12 mesi, il contratto può essere prorogato o rinnovato fino ad una durata massima di 24 mesi solo in presenza di determinate causali, tassativamente indicate dalla legge e consistenti in:
Esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività;
Ragioni sostitutive;
Esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria;
In ogni caso il numero di proroghe consentite entro i 24 mesi non può essere superiore a 4, indipendentemente dal numero dei rinnovi.
Nelle ipotesi di rinnovo è necessario che trascorra un lasso di tempo tra i due contratti a termine, stipulati tra le stesse parti contrattuali:
intervallo di 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi;
intervallo di 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.
Il mancato rispetto delle disposizioni in ordine alla durata e al numero massimo delle proroghe determina la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.
Ciascun datore di lavoro è consentito stipulare un numero complessivo di contratti a tempo determinato non superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato
Per le ipotesi di violazione del limite percentuale, è prevista soltanto una sanzione amministrativa- e non la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato a carico del datore di lavoro.
È vietata l’assunzione o la proroga di lavoratori a tempo determinato presso unità produttive ove sono in corso sospensioni o riduzioni di orario in regime di integrazione salariale, che riguardano dipendenti adibiti a mansioni alle quali si riferisce il contratto a termine,

Ebbene, fin dall’inizio della crisi sanitaria determinata dalla pandemia da COVID -19, è emerso con tutta evidenza che la rigidità delle regole dettate in materia di contratti a termine avrebbe determinato come immediata conseguenza dell’incertezza economica, l’interruzione di tutti (o quasi) i rapporti di lavoro a termine che fossero giunti alla loro naturale scadenza durante o immediatamente dopo i mesi dell’emergenza sanitaria.

Il Governo è, dunque, intervenuto al fine di tutelare i posti di lavoro dei dipendenti a tempo determinato prevedendo, prima nella L. Di Conversione del decreto “cura Italia” (Legge 27/2020) e successivamente nel recente decreto “Rilancio” (D.L. 34/2020), alcune disposizioni derogatorie delle regole generali sopra ripercorse.

Le deroghe previste dal  Decreto “Cura Italia”e dal Decreto “Rilancio”

L’art. 19 bis della L. di conversione del D.L. 18/2020 Cura Italia (che nulla aveva previsto in materia)  prevede una prima importante norma in deroga a tre regole generali previste dal D. lgs n. 81/2015 stabilendo:

La possibilità di prorogare e rinnovare contratti a tempo determinato nel periodo in cui l’azienda ha in atto una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, in deroga all’art. 20, comma 1, lettera c)che – come sopra detto – vieta l’apposizione di un termine al contratto di lavoro qualora l’azienda abbia attivo, nelle medesime unità produttive, un ammortizzatore sociale.
L’estensione di tale possibilità anche alle proroghe ed i rinnovi a termine di un lavoratore da parte di una Agenzia per il lavoro, a scopo di somministrazione, presso datori di lavoro che hanno in corso sospensioni o riduzioni di orario per i propri dipendenti che sono adibiti alle stesse mansioni ai quali si riferiscono i contratti di somministrazione
È stato, inoltre, rimosso il vincolo che prevede, in caso di successivo rinnovo del contratto a termine con il medesimo lavoratore, l’obbligo di una “vacanza” contrattuale (anche detta “stop & go”) tra due rapporti a tempo determinato. In caso di successivi rinnovi, quindi, non dovrà essere rispettato lo stop di dieci giorni dalla scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero di venti giorni dalla data di scadenza di un contratto superiore ai sei mesi.

La seconda norma finalizzata al mantenimento dei rapporti di lavoro a termine è stata prevista dall’articolo 93, del decreto “Rilancio” (Decreto Legge n. 34/2020), introdotta, invero, per colmare un grave lacuna dei precedenti intervenuti governativi, i quali pur consentendo proroghe e rinnovi durante i periodi di sospensione o riduzione delle attività per Cassa Integrazione nulla aveva previsto in ordine alla necessità di rispettare l’obbligo di sussistenza delle causali giustificatrici, tassativamente indicate dalla legge.

Con l’art 93 del D.L. Rilancio è stata, quindi, introdotta la possibilità, in deroga all’articolo 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, di”rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere alla data del 23 febbraio 2020 anche in assenza delle condizioni introdotte dal decreto “Dignità” e quindi senza l’apposizione delle specifiche causali.

Su questo punto si segnala che erano sorte perplessità sull’interpretazione del testo normativo perché non era chiaro se il termine del 30 agosto si riferisse alla data di inizio o di conclusione del rinnovo o proroga contrattuale. Il ministero del lavoro in una faq dei giorni scorsi ha fornito una interpretazione restrittiva stabilendo che i contratti in essere possono avere durata rinnovata o prorogata fino al 30 agosto.

Un’ulteriore novità riguarda, inoltre, il lavoro agricolo,venendo stabilita  la possibilità per i percettori di ammortizzatori sociali a zero ore, solo per il periodo di sospensione dalla prestazione lavorativa a zero ore, i percettori di indennità di disoccupazione NASPI e DIS-COLL  e i percettori di Reddito di cittadinanza, di stipulare con datori di lavoro del settore agricolo contratti a termine non superiori a 30 giorni, rinnovabili per ulteriori 30 giorni, senza subire la perdita o la riduzione dei benefici a carico dell’INPS,  nel limite di 2000 euro per l’anno 2020.

 

Approfondimenti

L’adozione dei protocolli di sicurezza: come si difende l’azienda?

In questo periodo, stanno pervenendo presso il nostro studio varie richieste, da parte delle aziende, relative alla possibilità di impugnare vari provvedimenti: dai decreti e regolamenti governativi alle ordinanze ed ai provvedimenti amministrativi delle amministrazioni territoriali.

Norme e provvedimenti amministrativi.

A causa dell’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus Cd. Covid 19 stiamo assistendo ad una elevata produzione normativa e provvedimentale, nel cui ambito sono sicuramente ricompresi anche vari provvedimenti regionali e comunali.

Infatti, in attuazione dei provvedimenti normativi (leggi, decreti e regolamenti, non impugnabili davanti al giudice amministrativo, ma contestabili solo in via incidentale nell’ambito di un giudizio per illegittimità costituzionale), sono stati emanati innumerevoli provvedimenti dagli enti locali che stanno adottando misure restrittive sensibilmente diverse sul territorio, sia per i privati, sia per le aziende.

A titolo esemplificativo: con ordinanze comunali sono stati limitati gli ingressi da parte dei cittadini all’interno di market, supermarket e minimarket ad un massimo di due accessi settimanali e per un solo membro per nucleo familiare.

Ancora: sono state emanante ordinanze limitative delle uscite dall’abitazione ad una sola volta al giorno, autorizzando sempre un solo componente nucleo familiare, per recarsi in panifici, macellerie, pescherie, negozi di ortofrutta.

A fronte di provvedimenti di tale tenore, varie associazioni di categoria e gruppi di imprenditori hanno promosso impugnazioni avanti ai Tar di competenza territoriale.

Sennonché, in via generale, la giurisprudenza amministrativa maggioritaria si sta orientando verso il rigetto di tali ricorsi, rilevando che le ordinanze contingibili e urgenti impugnate sono state adottate in presenza dei presupposti di necessità e urgenza in materia sanitaria e che le stesse non si pongono in contrasto con le disposizioni dettate a livello nazionale e regionale, posto che gli impugnati provvedimenti si limitano a rendere più stringenti alcune delle misure prese a livello nazionale e regionale “con il dichiarato fine di evitare che il contagio nell’ambito comunale possa diffondersi attraverso comportamenti delle persone non in linea con l’obiettivo di limitare al massimo gli spostamenti e le uscite dalla propria abitazione per l’approvvigionamento dei necessari beni” (Tar Sardegna, decreto 7 aprile 2020, n. 122).

Il giudice amministrativo in sostanza, applica un bilanciamento tra i diritti fondamentali in gioco nel caso in esame, quali la libertà di circolazione, la riservatezza e, chiaramente, il diritto alla salute.

In particolare, il Consiglio di Stato (Sez. III, decreto 30 marzo 2020, n. 1553) ha espressamente valutato il diritto alla salute pubblica come valore superiore alla libertà di movimento, alla privacy e al lavoro, ritenendo che nella valutazione tra contrapposti interessi (rectius, diritti fondamentali), a fronte della compressione di alcune libertà fondamentali, deve essere accordata prevalenza alle misure volte a tutelare la salute pubblica.

A ciò ci aggiunga una valutazione di tipo strettamente pratico: l’evoluzione dell’attuale situazione emergenziale è talmente repentina da rendere spesso inattuali i provvedimenti impugnati, i quali vengono sostituiti da atti successivi che modificano e sostituiscono l’atto impugnato.

Verbali e sanzioni amministrative.

Ben diversa, invece, è la fattispecie relativa all’impugnazione di verbali applicativi di sanzioni derivanti dalla mancata esecuzione delle misure di sicurezza per la prevenzione del Covid. 19.

Ci concentriamo, in particolare, sulle sanzioni elevate alle aziende per la mancata o non corretta applicazione dei protocolli di sicurezza. Come noto, chi esercita attività economiche, produttive e sociali deve rispettare le normative anti Coronavirus contenute nel Decreto Legge n. 33 del 16 maggio 2020, nel D.P.C.M. 17 maggio 2020, nei protocolli nazionali anti contagio di ogni settore e nelle ordinanze regionali.

Il Decreto Legge n. 33 del 16 maggio 2020 all’art. 1 comma 15 stabilisce che “Il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.

L’articolo 2 del Decreto Legge n. 33 del 16 maggio 2020, prevede che le violazioni delle disposizioni del presente decreto, ovvero dei decreti e delle ordinanze emanati in attuazione del presente decreto, sono punite con la sanzione amministrativa da 400 a 3.000 euro e, nei casi in cui la violazione sia commessa nell’esercizio di un’attività di impresa, si applica la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni.

Tali provvedimenti sanzionatori possono presentare vari profili di criticità, anche perché non è ancora chiaro quale valore probatorio possano assumere le dichiarazioni del titolare di un’azienda in merito alla corretta esecuzione dei protocolli di sicurezza.

L’accertamento è attività svolta da ufficiali e agenti di polizia giudiziaria o altri organi addetti al controllo, svolta mediante diretta osservazione che viene incorporata nel verbale.

La contestazione è la comunicazione fatta (immediatamente dopo l’accertamento) al destinatario della pendenza di un procedimento amministrativo sanzionatorio a suo carico. Ha la funzione di informare legalmente il soggetto circa la natura, il contenuto sanzionatorio e le modalità di estinzione dell’obbligazione e della possibilità di ricorso, per cui ha forma scritta è requisito sostanziale. Eventuali vizi del procedimento possono riferirsi alla mancanza degli elementi fondamentali come l’omessa indicazione delle modalità di estinzione della violazione. La validità del verbale di contestazione è condizione di procedibilità del procedimento sanzionatorio: una eventuale invalidità impatta sull’intero procedimento, tuttavia può essere sanata dall’organo accertatore con una nuova contestazione, da notificarsi entro i termini perentori previsti.

La notificazione, se non avvenuta nell’immediatezza dei fatti ed a mani del trasgressore, deve essere effettuata entro il termine perentorio di novanta giorni dall’accertamento.

Le sanzioni sono irrogate dal Prefetto del luogo dove è stato accertato il fatto, per quanto concerne la violazione delle misure previste dall’art. 1 del decreto-legge adottate tramite DPCM; quanto alla violazione delle misure adottate ex art. 3 dalle Regioni ovvero dai Sindaci, le sanzioni verranno irrogate dal Presidente della Regione o dal Sindaco competenti per territorio.

La procedura di impugnazione segue le regole di cui alla Legge di Depenalizzazione, come modificata dal decreto legislativo n. 150/2011, ed ha come oggetto l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto o da altra autorità di cui all’art. 3 del decreto-legge citato.

Naturalmente, l’azione dell’imprenditore che intende salvaguardare la salute altrui ed insieme la propria ripresa economica, non può prescindere dalla collaborazione dei propri dipendenti.

Pertanto, una volta che il datore di lavoro abbia adeguatamente informato i lavoratori in ordine alle disposizioni Protocollari, riveste certamente rilievo disciplinare, la violazione da parte del dipendente delle nuove regole.

A titolo esemplificativo, potrebbe trattarsi dell’obbligo di sottoporsi alla misurazione della temperatura corporea (ancorché ciò gli impedirà l’ingresso sul luogo di lavoro), la mancata adozione di comportamenti idonei al mantenimento del distanziamento sociale (ove il datore di lavoro abbia provveduto a consentire il distanziamento con idonei strumenti organizzativi), il mancato utilizzo della mascherina protettiva e dei presidi di igienizzazione delle mani, il rifiuto di aderire ad una differente e necessaria organizzazione della turnistica o degli orari di lavoro e così via.

A ciò si aggiunga che l’esercizio da parte del datore di lavoro della sorveglianza circa l’adozione da parte del dipendente delle misure di igiene e sicurezza sul lavoro non è una facoltà, ma un obbligo.

 

Approfondimenti

La responsabilità penale del datore di lavoro in caso di contagio da covid-19 dei propri dipendenti.

Come noto, il D. Lgs. 81/2008 impone a ciascun datore di lavoro di adottare ogni misura necessaria per garantire la sicurezza dei propri dipendenti all’interno del luogo di lavoro o, in ogni caso, durante lo svolgimento delle mansioni lavorative.

All’interno del citato decreto legislativo, particolare importanza, anche ai fini che ci occupano, riveste l’art. 18 il quale obbliga il datore di lavoro, fra le altre cose, a:

garantire un’adeguata sorveglianza sanitaria dei propri dipendenti;
fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale;
richiedere l’osservanza da parte dei lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene nei luoghi di lavoro;
adottare misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza;
informare e formare i lavoratori dei rischi e delle disposizioni assunte in materia di protezione;

 

Cerchiamo quindi di capire come si concilia la responsabilità pervista dal T.U. in materia di sicurezza sul lavoro con il rischio che uno o più soggetti contraggano il virus Covid-19 all’interno del luogo di lavoro.

Ebbene, in caso di contagio da COVID-19 di un dipendente sussiste la possibilità per il datore di lavoro di essere considerato penalmente responsabile per i reati di lesioni personali gravi/gravissime (art. 590 c.p.) o di omicidio colposo (589 c.p.) – aggravati dalla violazione delle norme antinfortunistiche – nel caso in cui il lavoratore abbia contratto il COVID-19 nel luogo di lavoro ed in conseguenza della mancata adozione da parte del datore di lavoro di adeguate misure di prevenzione e protezione.

A tal proposito, si segnala che la prova che il contagio sia avvenuto all’interno del luogo di lavoro (prova che deve essere fornita dal lavoratore) sarà particolarmente complessa nel caso in cui il contagio sia unico, mentre sarà pressoché presuntiva in caso di contagio di due o più lavoratori.

Non solo. I reati appena descritti sono anche considerati dal D. Lgs. 231/2001 reati presupposto della responsabilità della società che, quindi, potrà essere colpita da sanzioni pecuniarie e interdittive nel caso in cui l’evento lesivo o la morte del lavoratore si siano verificati nell’interesse o a vantaggio dell’ente (che potrebbe aver tratto un evidente vantaggio economico dall’omettere di adottare misure di protezione dei lavoratori).

Ma cosa può fare il datore di lavoro per evitare di incorrere in responsabilità penali?

La parola d’ordine sembra essere prevenzione.

E’ dunque fondamentale che il datore di lavoro provveda a:

adottare e seguire il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure
per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” sottoscritto dalle parti sociali in data 14/03/2020 integrato in data 26/04/2020. Per le aziende che prevedono flussi di lavoratori (ad es. autotrasporto) si raccomanda anche l’adozione del Protocollo del 20/03/2020, mentre per i cantieri si raccomanda l’adozione anche del Protocollo sottoscritto lo scorso 24/04/2020;
adeguare, in collaborazione con l’RSPP e il Medico Competente, ove presenti, il DVR aziendale ed il Modello di Organizzazione e Gestione ex D. Lgs. 231/2001, assumendo protocolli di sicurezza anti-contagio;
consegnare a tutti i dipendenti adeguati dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti);
favorire il più possibile lo smart working e, ove ciò non sia conciliabile con lo svolgimento dell’attività aziendale, garantire la distanza minima fra i lavoratori. Ove anche questa misura non sia concretamente attuabile l’azienda dovrà dotarsi di strumenti volti a limitare il più possibile il contatto tra i lavoratori (ad esempio, ricorrendo a pareti in plexiglass tra una postazione di lavoro e l’altra);
procedere ad una sanificazione periodica degli ambienti di lavoro;
mettere a disposizione dei lavoratori soluzioni disinfettanti da poter utilizzare durante l’orario lavorativo;
contingentare l’accesso a spazi comuni (spogliatoi, mense, ecc.);

Si rileva inoltre che ciascuna Regione potrà adottare specifici Protocolli di prevenzione.

Pertanto, anche in considerazione delle peculiarità di ogni specifica realtà aziendale, si raccomanda di ricorrere a professionisti in grado di consigliare e guidare il datore di lavoro in questo delicato momento.

 

 

 

 

 

 

 

Approfondimenti Contrattualistica d'impresa

I contratti di locazione durante l’emergenza COVID-19

Nell’ambito dell’attuale emergenza causata dal COVID-19 ed a fronte della chiusura imposta alle attività commerciali non essenziali, ha assunto rilevanza centrale la questione del pagamento dei canoni di affitto dei locali delle attività.
Gli interventi governativi hanno avuto una portata molto limitata nella gestione dei rapporti tra conduttore e locatore, non offrendo effettivi strumenti di sostegno e soprattutto linee chiare per il contemperamento delle diverse esigenze.

L’intervento si è limitato all’art. 65 D.L. Cura Italia che ha previsto testualmente il riconoscimento di un credito d’imposta «nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione di marzo 2020» ai soggetti esercenti attività d’impresa nell’ambito della quale risulta condotto in locazione un immobile in categoria catastale C/1. Ancorché la disposizione si riferisca, genericamente, al 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, la stessa ha la finalità di ristorare il soggetto dal costo sostenuto costituito dal predetto canone, sicché in coerenza con tale finalità il predetto credito maturerà a seguito dell’avvenuto pagamento, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con circolare 8/E del 03.04.2020, che ha stabilito che è necessario che sia avvenuto l’effettivo esborso finanziario. Pertanto, qualora il conduttore non abbia corrisposto le somme o ne ritardi il pagamento in accordo con il locatore, non maturerebbe alcun credito d’imposta.

Per quanto riguarda le misure adottate dalle Casse dei professionisti iscritti agli Ordini, con riferimento al tema delle locazioni, gli interventi non sono stati particolarmente incisivi, nonostante il canone di locazione sia un costo di grande impatto sulle attività professionali, che stanno subendo un forte rallentamento nei mesi dell’emergenza. Di rilievo, la misura adottata dalla Cassa forense che ha previsto due bandi straordinari per l’erogazione di contributi per canoni di locazione per lo studio professionale, l’uno riservato a conduttori persone fisiche e l’altro riservato a Studi Associati e Società tra Avvocati con uno stanziamento complessivo di 5.600.000,00 euro. I bandi prevedono il rimborso del 50 per cento dei canoni corrisposti nel periodo 1° febbraio – 30 aprile 2020.

Fatte le predette eccezioni, per comprendere come possono essere gestite le varie situazioni emergenziali, occorre far riferimento alla normativa codicistica ed alla norma di carattere generale cui all’art. 91 DL Cura Italia, rubricata “Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici” che prevede espressamente al primo comma: “All’articolo 3 del decreto – legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: “6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”.

In assenza di ulteriori e più ampie disposizioni, possiamo operare una distinzione tra le ipotesi in cui il conduttore disponga parzialmente di liquidità necessaria a far fronte al pagamento e le ipotesi in cui non vi sia alcuna disponibilità di liquidità.

Nell’ipotesi in cui vi sia liquidità a disposizione l’azione più efficace è quella di un accordo tra inquilino e locatore per la rimodulazione della misura del canone pattuito, che potrà operare in concreto con una semplice modifica al precedente contratto anche mediante corrispondenza email, i cui nuovi termini dovranno essere comunicati all’Agenzia delle Entrate (Ufficio territoriale presso cui il contratto era stato registrato) con Modello 69 contente gli estremi del contratto di locazione originario, come risultanti dalla ricevuta RLI, con esenzione di imposta di bollo e registro.

In caso di indisponibilità della liquidità sufficiente per pagare il canone, il conduttore potrà, nel caso in cui non sia raggiunto un accordo tra le parti, avvalersi delle norme del codice civile e richiedere una proroga o ritardare l’adempimento. Qualora l’interesse sia quello di preservare il rapporto contrattuale, le norme che vengono in soccorso sono le seguenti:
• Art. 1256 c.c.: impossibilità temporanea assoluta di adempiere alla prestazione;
• Art.1258 c.c.: impossibilità parziale di rendere la prestazione dovuta (quando la stessa sia divenuta impossibile solo in parte. In questo caso il debitore (conduttore) si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile.
• Art. 1218-1223 c.c.: giustificato ritardo nell’adempimento dell’obbligazione del debitore, rafforzato dalla previsione sopra citata dell’art. 91 D.L. Cura Italia.
Qualora invece, il conduttore valuti che vi sia effettiva impossibilità di proseguire il rapporto contrattuale, la norma di riferimento è la seguente:
• Art. 1467 c.c.: risoluzione anticipata del contratto considerando come giusta causa la sopraggiunta eccessiva onerosità del canone.

In conclusione, è evidente che è assolutamente fondamentale una valutazione caso per caso delle singole posizioni e che allo stato, viste anche le esigue misure di sostegno previste, l’opzione preferibile è comunque quella di un accordo tra le parti per una riduzione del canone di locazione in questo periodo di difficoltà dovuto all’emergenza coronavirus, contemperando entrambi gli interessi coinvolti.

Approfondimenti

Cosa cambia in materia di appalti nel 2020: nuovi obblighi e sanzioni a carico di committente e appaltatori

Come ormai noto agli operatori del settore, il Decreto fiscale 2020 (D.L. n. 124/2019), come modificato dalla Legge di conversione L. n. 157/2019 ha introdotto importanti novità in tema di appalti con decorrenza a far data dal 31 gennaio 2020, imponendo ai committenti una serie di oneri aggiuntivi, finalizzati a controllare e garantire il regolare adempimento dei versamenti delle ritenute fiscali da parte delle imprese appaltatrici a cui, nell’ambito della propria attività, hanno affidato in outsourcing lavori, opere o servizi.

Vediamo nel dettaglio in cosa consistono tali novità, in quali casi si applicano e da quando si applicano, nonché che tipo di conseguenze comporta la loro violazione.

Ambito di applicazione

Iniziamo con il dire che le novità normative introdotte dall’art. 4 del D.L. 124/2019 e riportate integralmente nell’art. 17 bis del D.lgs. n. 241/1997 si applicano alle seguenti tipologie contrattuali: tutti i contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati, nei quali l’affidamento del compimento di una o più opere o di uno o più servizi sia di importo complessivo annuo superiore a euro 200.000 rispetto ad una singola impresa committente, caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente o con utilizzo di beni strumentali dello stesso committente o ad esso riconducibili in qualunque forma.

Deve trattarsi, quindi, di contratti di una certa rilevanza economica (non inferiori ad € 200.000 annui) nonchè caratterizzati per essere “labour intensive” in quanto, come detto svolti o effettuati con prevalente utilizzo di manodopera, presso le sedi del committente e/o con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà del committente.

La norma, inoltre si riferisce, come chiarito anche dalla Circolare dell’AE 1/E/2020 del 12 Febbraio 2020, da un punto di vista soggettivo, ai soggetti residenti in Italia ai fini delle imposte sui redditi e pertanto, stante l’espresso richiamo all’art. 23 del D.P.R. n. 600 /1973, nel novero rientrano:

enti e società indicati nell’articolo 73, comma 1, del TUIR;
società e associazioni indicate nell’articolo 5 del TUIR;
persone fisiche che esercitano imprese commerciali ai sensi dell’articolo 55 del TUIR o imprese agricole;
persone fisiche che esercitano arti e professioni;
curatore fallimentare e commissario liquidatore;
condominio

Sono pertanto esclusi dall’applicazione della norma i soggetti non residenti, senza stabile organizzazione in Italia, nonché i soggetti residenti che non esercitano attività d’impresa o non esercitano imprese agricole o non esercitano arti o professioni, ad esempio i condomìni, in quanto tali soggetti non detengono beni strumentali e dunque non possono esercitare alcuna attività d’impresa o agricola o attività professionale. Per le medesime ragioni sono esclusi dall’ambito di applicazione gli enti non commerciali (enti pubblici, associazioni, trust ecc.) limitatamente all’attività istituzionale di natura non commerciale svolta.

 

La deroga prevista dall’ art. 17 bis, comma 5 del lgs. n. 241/1997

 

Fermo restando l’ampio raggio di applicazione delle nuove norme introdotte, l’art. 17 bis comma 5 ha previsto e disciplinato una ipotesi di esonero di applicazione dell’intera nuova disciplina per quelle imprese appaltatrici o affidatarie o subappaltatrici che comunichino al committente, allegando la certificazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate, di possedere cumulativamente i seguenti requisiti:

– risultino in attività da almeno tre anni;

– siano in regola con gli obblighi dichiarativi;

– abbiano eseguito nel corso dei periodi d’imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio versamenti complessivi, registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10% dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni stesse;

– che non abbiano iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all’Irap, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori a 50 mila euro, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione.

L’Agenzia delle entrate, con la recente circolare 1/E/2020 ha chiarito che, su richiesta delle aziende interessate e previa verifica dei requisiti metterà la certificazione (DURF), valida quattro mesi dalla data del rilascio, a disposizione delle singole imprese a partire dal terzo giorno lavorativo di ogni mese. Inoltre, si chiarisce che nel caso in cui il committente sia una pubblica amministrazione la sussistenza dei requisiti potrà essere oggetto di autocertificazione.

 

I nuovi obblighi previsti a carico delle parti

Per quanto concerne i nuovi obblighi previsti dall’art. 17 bis, la disposizione prevede che le imprese committenti rientranti nell’ambito di applicazione come sopra delineato, sono onerate a richiedere all’impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici, obbligate a rilasciarle, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute fiscali trattenute ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio.

In particolare per poter consentire al committente la regolarità delle certificazioni, le imprese appaltatrici o affidatarie e le imprese subappaltatrici dovranno provvedere entro cinque giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento a fornire al committente un elenco dettagliato contenente:

– le deleghe di pagamento, sopra menzionate;

– i nominativi di tutti i lavoratori, identificati mediante codice fiscale, impiegati nel mese precedente direttamente nell’esecuzione di opere o servizi affidati dal committente;

– il dettaglio delle ore di lavoro prestate da ciascun dipendente in esecuzione dell’opera o del servizio affidato;

– l’ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione

– il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti di tale lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente.

Per arginare il fenomeno degli omessi versamenti, la normativa inoltre, esclude la possibilità di compensazione delle ritenute relative ai redditi di lavoro dipendente e assimilati da parte delle imprese appaltatrici, affidatarie e subappaltatrici che eseguono opere e servizi rientranti nel perimetro della disciplina. Al riguardo l’Agenzia delle Entrate con la circolare 1/E del 12 febbraio 2020 ha chiarito che il divieto di compensazione non è applicabile per i crediti maturati dall’impresa in qualità di sostituto d’imposta (ad esempio rimborsi da 730, eccedenze di versamento o di ritenute, bonus 80 euro).

In caso di mancato adempimento da parte di queste ultime degli obblighi di trasmissione di cui sopra entro il termine di 5 giorni o nel caso di omesso versamento delle ritenute fiscal, il comma 3 dell’art. 17-bis introduce l’obbligo per il committente di sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice o affidataria

In sostanza il Committente deve sospendere, finché perdura l’inadempimento, il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice o affidataria sino a concorrenza del 20% del valore complessivo del servizio o dell’opera ovvero per un importo pari alle ritenute non versate come risultante dai dati delle comunicazioni trasmesse.

Inoltre ne deve dare comunicazione entro 90 giorni all’Agenzia delle Entrate.

A tal proposito sempre nelle indicazioni fornite dall’AE nella circolare 1/E/2020, si afferma che il committente dovrà effettuare una valutazione di “congruità” , verificando che la retribuzione oraria corrisposta a ciascun lavoratore non sia manifestamente incongrua rispetto all’opera prestata dal lavoratore. Ancorché il riscontro dovrà basarsi su elementi cartolari (ad esempio, sulla verifica della corrispondenza tra le deleghe di versamento e la documentazione fornita), lo stesso dovrà essere accompagnato da una valutazione finalizzata a verificare, tra l’altro, la coerenza tra l’ammontare delle retribuzioni e gli elementi pubblicamente disponibili (come nel caso di contratti collettivi), l’effettiva presenza dei lavoratori presso la sede del committente.

Per esigenze di semplificazione, limitatamente alla verifica sulle ritenute, la circolare chiarisce che queste ultime non si considerano manifestamente incongrue allorché siano superiori al 15 per cento della retribuzione imponibile ai fini fiscali.

 

Profili sanzionatori a carico del committente

Nel caso in cui il committente non adempia agli obblighi previsti a suo carico, il successivo quarto comma della nuova disposizione normativa dispone l’applicabilità di una sanzione per il committente pari a quella irrogata all’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice per la corretta determinazione ed esecuzione delle ritenute, nonché per il tempestivo versamento delle medesime. Il committente è, dunque, tenuto a versare una somma calcolata e riferita alla quota parte di ritenute fiscali – riferibili ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio presso il medesimo – non correttamente determinate, eseguite e versate.

Si tratta, in particolare, delle sanzioni previste dall’articolo 14 del D.Lgs. 471/97 in caso di mancata esecuzione delle ritenute (sanzione pari al 20% degli importi non trattenuti) e dall’articolo 13 del D.Lgs. 471/97 per l’omesso o ritardato versamento delle ritenute stesse (pari al 30% dei versamenti non effettuati).

In sostanza, il committente sarà soggetto a una sanzione in misura corrispondente a quella irrogata all’impresa che ha commesso la violazione. La sanzione sarà applicabile qualora il committente non abbia richiesto la prova del pagamento delle ritenute eseguite dall’impresa, non abbia sospeso il pagamento dei corrispettivi in caso di eventuali inadempimenti oppure abbia omesso di segnalarli all’Agenzia delle Entrate.

Non si tratta dunque di un regime di responsabilità solidale (come già previsto per le obbligazioni contributive dall’articolo 29 del D.Lgs. n. 276/2003); piuttosto l’intervento normativo deve essere contestualizzato nell’ambito di una serie di disposizioni finalizzate a contrastare le false compensazioni e ad attribuire in capo ai soggetti committenti un ruolo di controllo sull’esecuzione dei versamenti delle ritenute fiscali in alcuni settori particolarmente critici.

Considerata la natura sanzionatoria della disposizione in commento, la circolare 1/E/2020 ha chiarito che restano fuori dall’ambito di applicazione della stessa tutte le altre violazioni tributarie da parte dell’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice non espressamente menzionate (ad esempio, la violazione degli obblighi dichiarativi in qualità di sostituto d’imposta di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 471 del 1997).

Decorrenza

Rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 17-bis le ritenute operate sugli emolumenti di competenza gennaio 2020. I nuovi obblighi troveranno applicazioni con riferimento alle ritenute operate nel mese di gennaio 2020 e quindi relativamente ai versamenti da effettuare entro il 17 febbraio 2020 anche con riguardo a contratti di appalto, affidamento o subappalto stipulati in un momento antecedente al 1°gennaio 2020.

 

Considerazioni conclusive

Stante l’impianto innovativo introdotto con le norma sopra ripercorse, si suggerisce alle imprese operanti nel settore degli appalti pubblici o privati un’attenta valutazione dei propri contratti, già attualmente in essere nonché in corso di stipula o contrattazione, rendendosi opportuna, soprattutto in considerazione delle conseguenze sanzionatorie a carico delle imprese committenti, l’introduzione all’interno dei contratti di clausole specifiche o appendici aggiuntive aventi ad oggetto i nuovi obblighi a carico delle imprese appaltatrici, sub appaltatrici o affidatarie di opere o servizi, al fine di responsabilizzare queste ultime anche nell’ambito dei rapporti contrattuali tra le parti.

Firenze Legale è a disposizione delle aziende per una valutazione e consulenza sui contratti di appalto e per apprestare la migliore tutela dei vostri interessi.

 

 

Approfondimenti Contrattualistica d'impresa

E-commerce: consigli per la predisposizione delle condizioni di vendita

Il contratto di vendita online, che si costituisce al momento della conferma dell’ordine, è disciplinato dalle condizioni generali di vendita.

Le linee guida da seguire per impostare la struttura e definire il contenuto delle clausole che compongono tali condizioni di vendita, si ricavano dal codice civile, dal D. Lgs n. 70 del 9 aprile 2003 (che ha recepito la normativa europea sul commercio elettronico – Direttiva 200/31/CE della Comunità Europea) e dal D. Lgs n. 206 del 6 settembre 2005 (Codice del Consumo).

E’ inoltre opportuno segnalare il Regolamento UE 2018/302 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 febbraio 2018 (c.d. “Regolamento Geo-Blocking”) che impone a chi offre sul mercato beni o servizi tramite mezzi elettronici (e-commerce) di non attuare alcun tipo di discriminazione tra gli utenti fondata sulla nazionalità degli stessi, che si ripercuota sulle condizioni di vendita. Per approfondimenti su tale aspetto si rimanda all’articolo di Firenze Legale “Regolamento UE sul geoblocking e gli effetti sull’e-commerce” .

Se da un lato il D. Lsg 70/2003 stabilisce il principio di libero accesso del prestatore del servizio all’attività di vendita online in qualsiasi Stato membro senza necessità di autorizzazione preventiva nello Stato prescelto, dall’altro la stessa normativa impone al prestatore alcuni OBBLIGHI INFORMATIVI:

Innanzitutto il prestatore deve rendere facilmente accessibili, in modo diretto e permanente, sia ai destinatari del servizio che alle Autorità, una serie di informazioni che consentono la sua esatta individuazione (denominazione, sede legale, identificativo REA, partita Iva, contatti, iscrizione a determinati registri etc.).
Per quanto concerne la fase di pubblicazione online del prodotto o del servizio offerto, il prestatore deve fornire in modo chiaro, comprensibile ed inequivocabile, prima dell’inoltro dell’ordine da parte del destinatario del servizio, tutta una serie di dati: informazioni relative alle fasi tecniche da seguire per la conclusione del contratto, modalità di archiviazione e di accesso al contratto concluso, mezzi di individuazione e correzione degli errori di inserimento dei dati al momento dell’invio dell’ordine, accesso a codici di condotta, lingue per la conclusione del contratto e strumenti di composizione delle controversie.
E’ inoltre previsto dal D. Lgs 70/20013 che le clausole e le condizioni generali del contratto proposte al destinatario, debbano essere messe a sua disposizione in modo che gli sia consentita la memorizzazione e la riproduzione.

 

Andando ad analizzare nel dettaglio le condizioni di vendita alla luce della normativa sopra richiamata, vediamo come devono essere strutturate e cosa devono contenere le singole clausole.

 

INFORMAZIONI GENERALI

Tale sezione deve contenere le informazioni complete del merchant che consentano la sua esatta individuazione nonché i riferimenti al tipo di contratto concluso con l’acquirente (contratto a distanza) e la disciplina applicabile alla vendita.

Nel caso in cui sia presente un servizio di customer service si può far riferimento ai contatti ed alle modalità con cui i clienti possono far pervenire eventuali richieste o reclami.

Possono essere specificate anche informazioni generali sui prodotti offerti nella vendita online, come a titolo esemplificativo: le modalità di rappresentazione (immagini e contenuti descrittivi), indicazione della valuta in cui sono espressi i prezzi e le conseguenze di eventuali modifiche intervenute sugli stessi.

 

REGISTRAZIONE ACQUIRENTE

Un aspetto importante è costituito dal dettaglio delle regole che l’acquirente deve seguire per procedere con la registrazione al sito web di riferimento. A titolo esemplificativo nelle condizioni di vendita viene specificato quanto segue:

obbligo dell’acquirente di aver compiuto 18 anni per procedere con l’acquisto;
impegno e garanzia dell’acquirente di fornire informazioni vere e precise nonché di essere autorizzato all’utilizzo dei mezzi di pagamento previsti per effettuare l’ordine;
richiesta di accettazione delle condizioni di vendita;
manleva del venditore da obbligo risarcitorio e/o sanzione derivante da e/o in qualsiasi modo collegata alla violazione da parte dell’acquirente delle regole sulla registrazione al sito o sulla conservazione delle credenziali di registrazione;
possibilità per il merchant di limitare l’acquisto alle sole persone fisiche che agiscono con finalità non riferibili alla propria attività commerciale, imprenditoriale o professionale;
diritto del merchant di rifiutare l’ordine ed eventuale specifica dei casi.

 

ORDINE

In questo articolo devono essere specificati dal merchant i passaggi che l’utente deve seguire per l’invio dell’ordine.

È necessario tenere presente che, nella maggior parte dei casi, il periodo intercorrente tra l’invio dell’ordine e la spedizione del prodotto, può essere suddivisa in due fasi:

conferma dell’invio dell’ordine: in tale fase il merchant riceve ed acquisisce tutte le informazioni fornite dal cliente durante la registrazione e verifica i prodotti che sono stati scelti per l’acquisto; ma si tratta di un periodo intermedio nel quale c’è ancora la possibilità per il merchant di rifiutare l’ordine (ad es. per non disponibilità del prodotto, per informazioni non vere fornite dall’acquirente o altro);
conclusione del contratto: una volta accertate tutte le condizioni preliminari, se il merchant intende procedere con la spedizione del prodotto conferma la conclusione del contratto, fornendo generalmente i dettagli della consegna (specifica del corriere e numero di tracciamento).

 

PAGAMENTO

Il merchant deve specificare nelle condizioni di vendita le modalità di pagamento ammesse:

carta di credito o di debito;
contrassegno;
bonifico bancario;
paypal;
pagamento a rate.

Nella sezione dedicata al pagamento il merchant deve fare particolare attenzione alle condizioni contrattuali pattuite con le piattaforme dei vari strumenti di pagamento. È opportuno infatti che vengano riportate nel dettaglio le istruzioni fornite dalle varie piattaforme, affinché gli acquirenti possano conoscerne il contenuto prima di accedere al servizio.

Generalmente il merchant, prima di procedere con la preparazione dell’ordine, svolge un controllo standard di verifica dei dati forniti e di pre-autorizzazione della modalità di pagamento scelta dall’acquirente, per assicurarsi la correttezza dei dati e la sussistenza di fondi sufficienti per compiere la transazione.

 

CONSEGNA

All’acquirente devono essere fornite tutte le informazioni necessarie per determinare i tempi ed i costi della consegna del prodotto scelto, con eventuale differenziazione di prezzo in caso di differenti termini di consegna.

Tali specifiche dipendono dallo svolgimento dei servizi di logistica e di spedizione e dalle condizioni contrattuali definite con i relativi fornitori. È opportuno su tale profilo porre l’attenzione sulle responsabilità del fornitore, sulle limitazioni di responsabilità e soprattutto sulle coperture assicurative che possono essere concesse.

Un sistema di vendita particolarmente diffuso è il “drop ship”(anche conosciuto come drop shipping o dropshipping) che consiste in un modello di vendita in cui il merchant vende il prodotto all’utente, senza possederlo materialmente nel proprio magazzino. Il venditore, effettuata la vendita, trasmetterà l’ordine al fornitore che in questo caso viene chiamato “dropshipper”, il quale si occuperà della preparazione e spedizione del prodotto direttamente all’utente finale. In questo modo, il merchant dovrà preoccuparsi esclusivamente della pubblicazione online dei prodotti e della visibilità degli stessi, senza doversi occupare di tutte le incombenze legate ai processi di imballaggio e spedizione.

Per chi dispone di negozi monomarca è inoltre possibile attivare l’opzione di consegna con modalità cosiddetta “Click and Collect”, ovvero mediante ordine inviato dal sito web e ritiro del prodotto direttamente presso il punto vendita scelto dall’acquirente.

 

DIRITTO DI RECESSO – RESO

Il merchant, secondo le prescrizioni dettate dal codice del consumo, ha l’obbligo di informare l’acquirente circa l’esistenza del diritto di recesso, nonché l’onere di metterlo in condizione di poter esercitare tale facoltà rendendogli disponibile una esauriente spiegazione sulle fasi che regolano la procedura.

ll consumatore ha 14 giorni per recedere dal contratto di vendita senza necessità di specificare i motivi che hanno determinato il recesso.

Il merchant deve pertanto specificare nelle condizioni di vendita tutti i dettagli relativi alla procedura che il cliente deve seguire per comunicare la volontà di recedere nonché le modalità per restituire il prodotto e per ottenere il rimborso delle somme versate al momento dell’acquisto, all’esito delle verifiche effettuate sull’integrità del prodotto stesso.

Il codice del consumo ammette dei casi di esclusione del diritto di recesso per gli acquisti a distanza, in via esemplificativa:

la fornitura di beni personalizzati o confezionati su misura;
la fornitura di beni deteriorabili;
la fornitura di beni sigillati che non si prestano alla restituzione dopo l’apertura;
la fornitura di giornali, riviste e periodici;
la fornitura di video/audio/software consegnati sigillati e che siano stati aperti.

 

GARANZIA DI CONFORMITA’

Un’altra tutela che il Codice del Consumo riconosce al consumatore è la cosiddetta garanzia legale (o garanzia di conformità) la quale impone al venditore di consegnare all’acquirente beni conformi al contratto di vendita. Un bene è “conforme” quando:

è idoneo all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo;
corrisponde alla descrizione fatta dal venditore;
possiede le qualità indicate dal venditore nonché quelle abituali per beni dello stesso tipo;
è idoneo all’uso particolare voluto dal consumatore se questi lo ha portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto.

Se il bene ha dei difetti e/o non possiede queste caratteristiche, il consumatore è tutelato dalla garanzia di legge la quale gli dà diritto di chiederne, a sua scelta, la sostituzione o la riparazione.

Ai fini della garanzia legale, il difetto deve manifestarsi entro due anni dalla consegna del bene e deve essere segnalato al venditore entro due mesi dalla sua scoperta.

In relazione a tale profilo il merchant è tenuto ad osservare gli obblighi informativi, mettendo l’acquirente in condizione di conoscere tale garanzia di legge precisando in maniera chiara l’oggetto della garanzia, le modalità ed i termini entro cui il difetto deve essere segnalato.

 

PRIVACY

Con l’entrata in vigore del GDPR a maggio 2018 è stato imposto un obbligo di informativa nei confronti del cliente anche per quanto concerne il trattamento dei suoi dati personali. È pertanto doveroso specificare nella sezione “privacy”:

quali informazioni vengono raccolte e conservate;
chi ha accesso a questi dati personali.
dettagli di contatto del responsabile della protezione dei dati, assegnato dalla tua organizzazione;
modalità di presentazione di una richiesta di accesso ai dati;
tempi di conservazione delle informazioni personali e modalità di cancellazione.

 

LEGGE APPLICABILE E FORO COMPETENTE

Se si tratta di contratto di vendita concluso in Italia verrà fatto riferimento alla legge italiana.

Per la risoluzione delle controversie il merchant può indicare un foro specifico competente. È opportuno precisare che in caso di acquisto fatto da “consumatore” sarà competente il foro del luogo in cui l’utente risiede o ha eletto domicilio.

Approfondimenti

Il decreto Milleproroghe 2020: le principali novità per le aziende.

È entrato in vigore il 31 dicembre 2019 il decreto legge 162 del 30 dicembre 2019 “Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica”.

Oltre alle consuete proroghe di fine anno, sono presenti ulteriori disposizioni alcune delle quali erano state espunte dalla legge di bilancio 2020.

Firenze Legale ha riassunto le norme più rilevanti per le Aziende e le Amministrazioni Pubbliche.

Prescrizione dei contributi per i dipendenti pubblici: sono prorogati al 31 dicembre 2022, per i lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche, i termini di prescrizione delle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria relativi ai periodi di competenza fino al 31 dicembre 2015;
Proroga al 31 dicembre 2021 della scadenza per le amministrazioni pubbliche per assumere a tempo indeterminato il personale non dirigenziale che possegga i requisiti previsti dall’art. 20 comma 1 del cosiddetto decreto Madia, Decreto Legislativo 75/17, ossia: a) risultare in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 (28 agosto 2015) con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione; b)essere stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione; c) aver maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni a tempo determinato;
Proroga al 31 dicembre 2020 il termine per i pagamenti da parte degli enti locali degli interventi di messa in sicurezza, manutenzione e ristrutturazione di edifici scolastici, previsti dal Decreto del “Fare” (Decreto Legge 69/13);
Bonus verde: viene prorogato per tutto il 2020 il bonus verde (o green bonus) del 36 per cento. Gli interventi ammessi all’incentivo sono diverso tipo, quali: sistemazione a verde di aree scoperte di edifici esistenti, di unità immobiliari, pertinenze o recinzioni; impianti di irrigazione e realizzazione di pozzi; realizzazione di coperture a verde e giardini pensili.
Viene prorogato il termine per l’adeguamento antincendio delle strutture ricettive turistico-alberghiere localizzate nei territori colpiti dagli eccezionali eventi meteorologici che si sono verificati a partire dal 2 ottobre 2018. Si tratta dei territori delle Regioni Calabria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Toscana, Sardegna, Sicilia, Veneto e delle Province Autonome di Trento e Bolzano in cui è stato dichiarato lo stato di emergenza con delibera del Consiglio dei ministri 8 novembre 2018, nonché i territori del Centro Italia colpiti dai sismi del 24 agosto 2016 e del 21 agosto 2017. Per tutte le strutture turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto, in possesso dei requisiti per l’ammissione al piano straordinario di adeguamento antincendio e situate nei territori menzionati, il termine per il completamento dell’adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi è prorogato al 30 giugno 2022, previa presentazione entro il 31 dicembre 2020 della Scia parziale al Comando provinciale dei vigili del fuoco competente per territorio;
Per assicurare servizi di trasporto aggiuntivi nella città di Genova, resisi necessari in seguito al crollo del Ponte Morandi, vengono raddoppiate le risorse straordinarie attribuite a tale scopo alla Regione Liguria. Viene stabilito che lo stato di emergenza consecutivo al crollo del 14 agosto 2018 possa essere prorogato fino ad una durata complessiva di tre anni.
Tariffe Autostrade: proroga al 31 luglio 2020 dell’adeguamento delle tariffe autostradali.
L’obbligo di pagare i tributi dovuti alla PA esclusivamente tramite la piattaforma PAGOPA slitta al 1 luglio 2020;
Le norme sulla Class Action entreranno in vigore con una proroga di sei mesi, quindi a ottobre 2020.

La nuova disciplina prevede lo spostamento della class action dal Codice del consumo a quello Civile, cosa che estende la portata applicativa dell’istituto.

Infatti, la nuova class action è rivolta a tutti coloro che avanzano delle pretese risarcitorie, e non solamente ai consumatori e agli utenti. Sono legittimate anche le organizzazioni e le associazioni iscritte nell’apposito elenco pubblico istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico. I destinatari della nuova Class Action saranno dunque le imprese, gli enti, i gestori di servizi pubblici/di pubblica utilità che compiono atti e comportamenti illeciti nello svolgimento delle loro attività.

La norma attribuisce al Tribunale delle imprese la competenza a decidere in materia di class action.

Le fasi procedimentali della novella class action saranno tre:

la decisione riguardo l’ammissibilità dell’azione;
la decisione nel merito;
la liquidazione delle somme.

Per aderire alla class action, il giudice stabilisce un termine perentorio che non potrà essere inferiore a 40 giorni e superiore a 150 giorni. La domanda va presentata mediante inserimento nel fascicolo informatico, disponibile sul sito del Ministero della Giustizia.

È stata inoltre introdotta un’azione inibitoria collettiva nei confronti di imprese, enti e gestori di servizi pubblici.

Inizialmente prevista per aprile 2020, non sono ancora state effettuate le modifiche necessarie per l’entrata in vigore.