Approfondimenti Contrattualistica d'impresa

NFT, smart contracts e aspetti legali

Gli NFT (non fungible token) rappresentano un tipo di token crittografici, emessi attraverso  vari protocolli. Ad oggi, il più conosciuto è ERC-721 sulla blockchain di Ethereum. Questi “gettoni” -non essendo fungibili- non sono intercambiabili e diversamente dalle criptovalute, come i bitcoin- rappresentano un’unicità.  Giuridicamente sono dunque assimilabili al concetto di cose infungibili e  inquadrabili come beni che possono formare oggetto di diritti, introducendo così il concetto di bene infungibile nel campo del digitale.

In sostanza, ciò che caratterizza gli NFT è l’insostituibilità, l’unicità e l’indivisibilità.

Strettamente collegato agli NFT è il concetto di smart contract, da sintetizzare con un breve richiamo alla definizione di cui la Legge n. 12/2019, pubblicata in Gazzetta Ufficiale in data 12.02.2019, Legge Semplificazione, all’articolo 8 ter, comma 3, punto 2 in cui si definisce “smart contract” un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse”. Pertanto, già un’operazione di “trasferimento” su blockchain che non ha oggetto NFT consente di ottenere effetti giuridici.

L’utilizzo degli smart contract dedicati agli NFT è più complesso, proprio in ragione dell’infungibilità del bene e dunque, allo stesso tempo si presta e richiede, forme evolute di contrattualizzazione su blockchain che partono da un contratto NFT per la cessione di un bene “unico” e che deve rimanere tale. A questo NFT iniziale si aggiungono altri contratti secondo il diverso standard,  come per esempio  per la gestione di  sub-licenze di un’opera intellettuale inizialmente ceduta via NFT.

Gli usi dei token non fungibili stanno aumentando e coinvolgono oltre al settore della proprietà intellettuale, nel quale stanno prendendo sempre più campo, anche il settore della verifica dell’identità, l’ambito del supply chain tracking, le procedure kyc etc.

L’utilizzo degli NFT porta alla luce molteplici questioni legali. Tra gli aspetti giuridici più controversi, sicuramente quello che riguarda tutti i settori in cui sono impiegati, è la tutela del consumatore in quanto non può prescindere da una informazione di base relativa al funzionamento di blockchain e token. La complessità dell’argomento rende difficile spiegarne il funzionamento nei consueti termini e condizioni. Inoltre,  agli NFT non è applicabile il diritto principale della disciplina del consumatore, previsto all’articolo 52 del Codice del Consumo, ossia il diritto di recesso. Una volta acquistato un bene digitale su una piattaforma NFT, non c’è modo di risolvere il contratto e restituire il bene con conseguente ristoro delle somme spese.

Con particolare attenzione al settore della proprietà intellettuale, essi possono rappresentare un’opera d’arte ed in tale ambito è diffusa la prassi di impostare la vendita dei token come licenze così che gli ideatori possano sfruttarne il diritto economico, attraverso una gestione innovativa, verificabile ed automatizzata dei diritti patrimoniali legati alla creazione, diffusione e gestione di opere protette dal diritto d’autore. Dopo la creazione dell’opera e dell’NFT c’è pertanto l’esigenza di definire e dettagliare i rapporti giuridici sottesi in particolare :

Copyright: è assolutamente escluso fare un uso commerciale dell’NFT, così come cedere l’accesso all’opera e riprodurla. il copyright sono in capo all’artista, mentre gli acquirenti possono solo  vendere ed utilizzare l’articolo acquistato.

Royalty: L’ammontare è definito dall’artista stesso e si tratta di percentuali determinate liberamente senza alcuna imposizione legata ai limiti definiti dalle singole legislazioni.

Fee aggiuntive: esistono delle transaction fees che vanno pagate per il costo di produzione, oltre ai costi legati al corrispettivo dell’energia bruciata ed alla conseguente produzione di CO2.

Fiscalità: è previsto il rimedio dell’oscuramento del sito qualora si accerti il mancato pagamento delle imposte e, nel caso in cui l’artista o il collezionista debba affrontare questioni per il mancato pagamento di imposte e venga condannato per evasione fiscale, viene oscurato il sito dello stesso.

Tali aspetti potranno essere definiti autonomamente al di fuori della catena, ma come visto in premessa, si sta diffondendo la possibilità di regolamentarli attraverso gli smart contracts, getendo tramite tali strumenti le licenze successive e dunque lo sfruttamento economico dell’opera.

 

Approfondimenti

L’evoluzione del diritto penale e il Revenge Porn

Sempre più spesso, negli ultimi anni, si sente utilizzare l’espressione revenge porn, espressione della lingua inglese che indica la condivisione pubblica – per fini di vendetta – di immagini o video intimi tramite internet, senza il consenso del protagonista del video o dell’immagine stessa.

Andando un po’ più nel dettaglio, il revenge porn in senso stretto consiste nella creazione consensuale di immagini intime o sessuali all’interno di un contesto di coppia e la non consensuale pubblicazione delle stesse da parte di uno dei membri con l’intento di vendicarsi della fine della relazione. Tale espressione è utilizzata, tuttavia, nel linguaggio comune, in senso più ampio anche per indicare ogni forma di diffusione non consensuale di immagini pornografiche o comunque aventi un contenuto sessuale, a prescindere quindi dalla pregressa esistenza di una relazione sentimentale o dalla finalità ritorsiva di colui che pubblica le immagini.

Purtroppo, il revenge porn è un fenomeno oggi molto diffuso, soprattutto tra i giovani. L’attuale pandemia, inoltre, ha ulteriormente peggiorato la situazione, portando ad un incremento di tutti i reati online come cyberbullismo e revenge porn appunto, tipologie di reati impensabili venti anni fa, astrattamente ipotizzabili dieci anni fa, ma che negli ultimi anni hanno assunto una portata rilevante e preoccupante. Una ricerca dell’ottobre 2020 del Dipartimento di Pubblica Sicurezza avente per oggetto lo studio della diffusione dei reati di revenge porn nell’anno 2019- 2020 ha rivelato, ad esempio, che la Lombardia ha registrato ben 141 reati perfezionati, seguita dalla Sicilia con 82.

L’emersione di nuovi comportamenti e di nuove esigenze di tutela ha portato il Legislatore ad introdurre, con la Legge n. 69/2019, il reato di “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” all’art. 612 ter c.p.

L’intervento legislativo è giunto subito dopo il caso di Tiziana Cantone, fortemente sentito anche dall’opinione pubblica. La donna, dopo la diffusione in internet contro la sua volontà di alcuni filmati hard di cui era protagonista, era stata oggetto di pesanti e continue offese e aggressioni al suo onore e alla sua reputazione che l’avevano spinta a togliersi la vita il 13 settembre 2016. Il caso ha messo in luce – forse per la prima volta in Italia – la straordinaria pericolosità del fenomeno, reso incontrollabile dagli strumenti telematici che, non solo rendono pressoché impossibile controllare e fermare la diffusione delle immagini e dei relativi commenti, ma consentono anche agli aggressori di colpire in anonimato. Pochi giorni dopo la morte di Tiziana Cantone è stato presentato il primo progetto di legge per l’introduzione di un reato specifico. Un’altra vicenda, che ha coinvolto la deputata Giulia Sarti, ha ulteriormente accelerato l’iter di approvazione, che si è concluso con la promulgazione della Legge 69/2019.

Il delitto di nuova introduzione punisce, da un lato, chiunque invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda – senza il consenso della persona rappresentata – immagini o video a contenuto sessualmente esplicito che erano destinati a restare privati e, dall’altro lato, coloro che una volta ricevuto o acquisito il materiale lo inviino, consegnino, cedano, pubblichino o diffondano senza il consenso della persona rappresentata, con il fine di recare alla vittima un nocumento.

La fattispecie prevede un aumento di pena se i fatti sono commessi:

dal coniuge, anche separato o divorziato;
da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa;
con strumenti informatici o telematici. In quest’ultimo caso, infatti, il ricorso a tali strumenti amplifica la diffusione immediata ad un numero sempre più crescente di destinatari, incrementando l’offesa subita dalla vittima;
a danno di una persona che sia in condizione di inferiorità fisica o psichica o verso una donna in stato di gravidanza: in questi casi è chiaro che emerga una particolare vulnerabilità delle vittime in questione.

Il reato in esame è procedibile a querela della persona offesa, ciò con l’evidente intento di evitare la c.d. vittimizzazione secondaria, cagionata dal rapporto con le istituzioni ed implicante, ad esempio, la necessità di ripetere più volte la narrazione di quanto subìto e di essere soggetti a valutazioni sulla propria credibilità ed attendibilità.

In ogni caso, il consiglio per la redazione dell’atto di denuncia querela, è quello di rivolgersi sempre a professionisti in grado di mettere in luce il reale disvalore della fattispecie in tutte le sue sfaccettature e in grado di individuare consulenti informatici forensi che possano fornire il necessario supporto alla narrazione dei fatti.

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FONDO IMPRESA DONNA: contributi e agevolazioni a sostegno dell’impresa femminile

La legge di bilancio 2021 (L. n. 178/2020, art. 1, co. 97-106) ha istituito, presso il Ministero dello Sviluppo economico, un Fondo a sostegno dell’impresa femminile con l’obiettivo di incentivare la partecipazione delle donne al mondo delle imprese, supportando le loro competenze e creatività per l’avvio di nuove attività imprenditoriali e la realizzazione di progetti innovativi, attraverso contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati.

Il Fondo finanzierà programmi d’investimento da realizzare entro due anni e con un tetto di spesa ammissibile fissato a 250.000 euro per nuove imprese e fino a 400.000 euro imprese già esistenti.

Gli interventi di supporto del Fondo Impresa Donna possono consistere in:

contributi a fondo perduto per avviare imprese femminili (con particolare attenzione alle imprese individuali e alle attività libero professionali in generale e con specifica attenzione a quelle avviate da donne disoccupate di qualsiasi età);finanziamenti a tasso zero o comunque agevolati (è ammessa anche la combinazione di contributi a fondo perduto e finanziamenti);
incentivi per rafforzare le imprese femminili, costituite da almeno 36 mesi, mediante erogazione di contributi a fondo perduto del fabbisogno di circolante nella misura massima dell’80% della media del circolante degli ultimi 3 esercizi;
percorsi di assistenza tecnico-gestionale, per attività di marketing e di comunicazione durante tutto il periodo di realizzazione degli investimenti o di compimento del programma di spesa, anche attraverso un sistema di voucher;
investimenti nel capitale, anche tramite la sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi, a beneficio esclusivo delle imprese a guida femminile tra start-up innovative e PMI innovative, nei settori individuati in coerenza con gli indirizzi strategici nazionali.

Sono ammesse alle richieste le attività nei settori dell’industria, dell’artigianato, della trasformazione dei prodotti agricoli, dei servizi, del commercio e del turismo.

Le agevolazioni del Fondo Impresa Donna possono essere utilizzate per:

nuovi impianti, macchinari e attrezzature;
immobilizzazioni immateriali;
servizi cloud per la gestione aziendale;
personale dipendente assunto a tempo indeterminato o determinato dopo la data di presentazione della domanda e impiegato nell’iniziativa agevolata.

Il Fondo sostiene, inoltre, azioni per la diffusione della cultura e la formazione imprenditoriale femminile, attuate dal soggetto gestore, sulla base di un piano di attività condiviso con il Ministero, attraverso iniziative per la promozione del valore dell’imprenditoria femminile nelle scuole e nelle università, per la diffusione di cultura imprenditoriale tra le donne, di orientamento e formazione verso percorsi di studio nelle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche, di sensibilizzazione verso professioni tipiche dell’economia digitale e attraverso azioni di comunicazione per diffondere la cultura femminile d’impresa e promuovere i programmi finanziati dal Fondo stesso.

Il Fondo Impresa Donna è destinato alle imprese femminili nascenti o già esistenti, in particolare si rivolge alle seguenti categorie di beneficiari:

cooperative e società di persone con ameno il 60% di donne socie (è previsto l’obbligo che i legali rappresentanti o amministratori non siano mai stati condannati con sentenza definitiva per reati che costituiscono motivo di esclusione dagli appalti);
società di capitale con quote e componenti del CDA per almeno due terzi di donne, sempre con il vincolo dell’assenza di condanne definitive per i reati che comportano esclusione degli appalti pubblici;
imprese individuali la cui titolare è una donna e risulti non condannata in via definitiva per reati che costituiscono motivo di esclusione dagli appalti;
lavoratrici autonome che presentano l’apertura della partita IVA entro 60 giorni dalla comunicazione positiva della valutazione della domanda;
persone fisiche che intendono avviare l’attività purché, entro 60 giorni dalla comunicazione positiva della valutazione della domanda, trasmettano documentazione sull’avvenuta costituzione.

Nel caso di una società, cooperativa, società di capitale o impresa individuale costituita da meno di un anno, la sede legale o operativa dell’impresa deve essere collocata in Italia.

Per garantire il buon funzionamento del fondo, il Ministero si avvarrà anche del Comitato impresa donna istituito in Bilancio e da disciplinare con un apposito Decreto.

Le domande di agevolazione potranno essere compilate e depositate esclusivamente in via telematica, utilizzando la procedura informatica che sarà messa a disposizione in un’apposita sezione del sito internet del Soggetto gestore www.invitalia.it.

La domanda dovrà essere accompagnata da un progetto imprenditoriale contenente:

dati dell’impresa femminile richiedente;
descrizione dell’attività;
analisi del mercato e relative strategie;
aspetti tecnico-produttivi ed organizzativi;
aspetti economico-finanziari.

Per le iniziative relative alle imprese già esistenti, la domanda dovrà essere completata con il bilancio relativo ai tre esercizi antecedenti la presentazione della domanda di agevolazione.

Nel caso di persone fisiche la documentazione atta a comprovare la costituzione dell’impresa o l’apertura della partita IVA dovrà essere trasmessa elettronicamente tramite la procedura informatica, entro 60 giorni dalla data di comunicazione di esito positivo della valutazione.

 

L’apertura dei termini, le modalità per la presentazione delle domande di agevolazione saranno definite dal Ministero dello sviluppo economico con successivo provvedimento, con il quale saranno, altresì, fornite le necessarie specificazioni per la corretta attuazione degli interventi.

Approfondimenti

Bonus edilizi e Decreto Antifrodi: non si applica l’asseverazione per le fatture precedenti al 12 novembre 2021.

Come ormai noto, nel 2020 il Governo ha approvato varie misure di agevolazione, in materia edilizia, per incrementare interventi di ristrutturazioni edilizie, riqualificazioni energetiche, misure antisismiche, installazione impianti fotovoltaici ecc.
Sennonché, negli ultimi mesi l’Agenzia delle Entrate ha segnalato a un anno dall’entrata in vigore dei bonus edilizi, sono state già individuate truffe per 800 milioni di euro su 19,3 miliardi di scambi.
Di qui, l’esigenza di emanare disposizioni normative che ovviassero alla problematica appena rappresentata.
Il 12 novembre 2021 è dunque entrato in vigore il cd. Decreto Legge Antifrodi.
Le novità salienti del Decreto sono essenzialmente due:
– Estensione del visto di conformità anche per la fruizione diretta del superbonus 110 per cento. Tale visto era già previsto per le opzioni di fruizione indiretta dell’agevolazione previste dall’articolo 121 del Decreto Rilancio, ovvero la cessione del credito e lo sconto in fattura. L’estensione dell’obbligo di tale visto si applica anche agli altri bonus edilizi per interventi che rientrano in altre agevolazioni, nei casi in cui si sceglie la cessione del credito o lo sconto in fattura.
– Introduzione dell’asseverazione della congruità delle spese. In sostanza, deve essere attestato che le spese sostenute sono adeguate alla tipologia degli interventi realizzati e ai risultati raggiunti. Il Decreto Antifrode stabilisce che l’asseverazione venga rilasciata non solo sulla base del DM Requisiti Tecnici e massimali di costo, ma anche di un nuovo decreto del Mite, che definirà i valori massimi per alcune categorie di beni non contemplate nel DM Requisiti Tecnici e massimali di costo. Nell’attesa che il decreto del Mite venga emanato, per questi beni l’unico riferimento è ravvisabile nei prezzari regionali.
Il punto critico del Decreto Antifrodi consiste nel fatto che lo stesso non evidenzia alcun ambito applicativo, sotto un profilo temporale.
Pertanto, secondo primi ed autorevoli orientamenti, l’obbligo dei nuovi adempimenti riguarderebbe anche i lavori già avviati e in corso di esecuzione e ultimazione. Con la conseguenza, non banale sotto un profilo pratico, che anche i lavori già iniziati dovranno essere oggetto di revisione.
Si pensi, in particolare, alle fatture, già emesse e pagate, che non sono espressamente riferibili a prezziari regionali e che necessiterebbero, dunque, di una complessa ricostruzione a posteriori da parte del professionista.
Sono tuttavia intervenuti, il 22 novembre 2021, i chiarimenti interpretativi dell’Agenzia delle Entrate.
L’Agenzia chiarisce in primo luogo che l’obbligo di apposizione del visto di conformità e dell’asseverazione, introdotto dal Dl n. 157/2021 non si applica ai contribuenti che prima del 12 novembre 2021 (data di pubblicazione in gazzetta ufficiale del Dl n. 157/2021) hanno ricevuto le fatture da parte di un fornitore, assolto i relativi pagamenti ed esercitato l’opzione per la cessione o per lo sconto in fattura, anche se la relativa comunicazione non è stata ancora inviata. Con riferimento, invece, ai tecnici, viene chiarito che i professionisti abilitati alla verifica della congruità delle spese per gli interventi ammessi al Superbonus possono rilasciare per lo stesso tipo di intervento anche la nuova attestazione di congruità delle spese sostenute prevista dall’articolo 1 del Dl n. 157/2021.
In buona sostanza, l’obbligo del visto di conformità e dell’asseverazione ai fini dell’opzione per lo sconto in fattura o la cessione del credito si applica, in via di principio, alle comunicazioni trasmesse in via telematica all’Agenzia delle entrate a decorrere dal 12 novembre 2021.
In ragione della tutela dell’affidamento dei contribuenti in buona fede che abbiano ricevuto le fatture da parte di un fornitore, assolto i relativi pagamenti a loro carico ed esercitato l’opzione per la cessione, attraverso la stipula di accordi tra cedente e cessionario, o per lo sconto in fattura, mediante la relativa annotazione, anteriormente alla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 157 del 2021, anche se non abbiano ancora provveduto all’invio della comunicazione telematica all’Agenzia delle entrate si ritiene che in tali ipotesi non sussista il predetto obbligo di apposizione del visto di conformità alla comunicazione dell’opzione all’Agenzia delle entrate e dell’asseverazione. Al riguardo, si precisa che, per consentire la trasmissione di tali comunicazioni, le relative procedure telematiche dell’Agenzia delle entrate saranno aggiornate entro il prossimo 26 novembre.
Va da sé che le comunicazioni delle opzioni inviate entro l’11 novembre 2021, relative alle detrazioni diverse dal Superbonus, per le quali l’Agenzia delle Entrate ha rilasciato regolare ricevuta di accoglimento, non sono soggette alla nuova disciplina di cui al comma 1-ter dell’articolo 121 del Decreto Legge n. 34/2020 e, dunque, non sono richiesti l’apposizione del visto di conformità e l’asseverazione della congruità delle spese. I relativi crediti possono essere accettati, ed eventualmente ulteriormente ceduti, senza richiedere il visto di conformità e l’asseverazione della congruità delle spese, anche dopo l’11 novembre 2021, fatta salva la procedura di controllo preventivo e sospensione di cui all’articolo 122-bis del Decreto Legge n. 34/2020, introdotto dal Decreto Legge n. 157 del 2021.
L’Agenzia delle Entrate chiarisce anche che nelle more dell’adozione del Decreto del Ministero della transizione ecologica di cui al comma 13-bis dell’articolo 119 del Decreto Legge n. 34 del 2020, relativo all’individuazione dei valori massimi per talune categorie di beni ai fini dell’asseverazione della congruità delle spese, è possibile fare riferimento ai prezzari individuati dal Decreto del Ministero dello sviluppo economico del 6 agosto 2020 (“Requisiti tecnici per l’accesso alle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici – cd. Ecobonus”), con i relativi allegati, oltre che ai prezzi riportati nei prezzari predisposti dalle regioni e dalle province autonome, ai listini ufficiali o ai listini delle locali camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ovvero, in difetto, ai prezzi correnti di mercato in base al luogo di effettuazione degli interventi.

Approfondimenti

Infortuni sul lavoro e risarcimento del danno differenziale

L’indennizzo da parte dell’INAIL. 

Gli infortuni occorsi ai dipendenti pubblici o privati durante lo svolgimento della prestazione lavorativa sono soggetti alla copertura dell’I.N.A.I.L. il quale provvede a corrispondere al lavoratore le prestazioni previste dalla legge.

Si tratta in particolare dell’indennità per il periodo di inabilità assoluta temporanea parametrata sulla retribuzione percepita dal lavoratore e, in caso di postumi di un’invalidità permanente superiore al 6 %, dell’ indennizzo in forma capitale o (se il danno biologico superiore al 16 %) in forma di rendita vitalizia.

La misura dell’indennizzo erogata dall’Istituto viene calcolata sulla base delle tabelle INAIL e non comporta l’integrale risarcimento del danno biologico subito dal lavoratore.

Il danno differenziale.

Il risarcimento integrale del danno, definito danno differenziale proprio in quanto corrisponde alla differenza tra la somma dovuta al dipendente per il pregiudizio subito e quanto già erogato dall’INAIL a titolo di indennizzo, spetta al lavoratore soltanto nel caso in cui l’infortunio sia avvenuto per responsabilità del datore di lavoro e sarà pertanto da questi dovuto.

L’obbligo di prevenzione dei rischi da parte del datore di lavoro.

Il datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. ha, infatti l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutela dell’integrità psico fisica dei propri dipendenti previste da norme di legge (tra cui le più importanti quelle contenute nel T.U. 81/2008 in materia di sicurezza sul lavoro) o suggerite dalle migliori conoscenze sperimentale o tecniche del momento.

L’inosservanza di tali obblighi, ove sia stata la causa dell’infortunio, può dare origine alla responsabilità dell’imprenditore e pertanto può essere fatta valere dal lavoratore con un’azione risarcitoria.

La natura e l’estensione della responsabilità dell’imprenditore.

Va precisato che la responsabilità del datore di lavoro non è di tipo oggettivo, ovvero automaticamente sussistente ogni volta che il dipendente abbia riportato lesioni in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa, essendo sempre necessario individuare un profilo di colpa del datore di lavoro, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore.

È però, altrettanto vero che la giurisprudenza ha notevolmente esteso le maglie della responsabilità datoriale. Si ritiene, infatti, che le norme in materia di prevenzione degli infortuni in capo al datore di lavoro, essendo finalizzate ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, siano dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, insiti nella tipologia di attività svolta, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, vigendo in capo al datore di lavoro un obbligo di vigilanza e controllo.

Il datore di lavoro è, dunque, ritenuto responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che il dipendente osservi correttamente tali misure, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore.

Il comportamento abnorme del lavoratore.

L’imprenditore viene, invece, esonerato dalla responsabilità nelle ipotesi in cui il lavoratore abbia posto in essere un comportamento “abnorme”, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio (detto rischio elettivo) estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere.

Si deve trattare, dunque, di una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa o anche ad essa riconducibile, ma esercitata e intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali e non prevedibili dal datore di lavoro, al di fuori dell’attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione lavorativa ed attività assicurata.

Un caso concreto.

Per comprendere meglio il concetto di comportamento abnorme, si segnala una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. 3282/2020) che ha escluso la responsabilità datoriale per l’infortunio del lavoratore. Nel caso concreto era stato accertato in giudizio che il lavoratore, seppure adeguatamente dotato dei dispositivi antinfortunio e informato sul corretto uso degli stessi, oltre che più volte richiamato al rispetto delle regole antinfortunistiche, aveva omesso volontariamente e imprudentemente di agganciare la cintura di sicurezza anticaduta al cestello.

Tale comportamento aveva quindi assunto il carattere dell’assoluta imprevedibilità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, da porsi quale causa esclusiva dell’evento e tale da escludere la responsabilità del datore di lavoro.

Concludendo.

In definitiva, quindi, possiamo affermare che il datore di lavoro è ritenuto responsabile dell’infortunio del lavoratore e tenuto pertanto a risarcire il danno differenziale quando abbia omesso di adottare tutte le misure protettive necessarie ad evitare l’evento dannoso, comprese quelle esigibili in relazione alla possibile negligenza o imprudenza del lavoratore. È, inoltre, responsabile quando abbia omesso di adeguatamente controllare e vigilare affinché le misure siano rispettate da parte del lavoratore.

Non è invece ritenuto responsabile quando l’infortunio sia determinato da un comportamento del lavoratore abnorme, imprevedibile ed esorbitante rispetto alle direttive impartite e al normale procedimento di lavoro.

Approfondimenti Contrattualistica d'impresa

Consignment stock e vendite on-line

I contratti call-off stock e consignment stock sono molto diffusi nella prassi commerciale in considerazione dei vantaggi che comportano per entrambe le parti contrattuali. Da un lato il cedente riduce sensibilmente i costi di distribuzione e dall’altro il cessionario evita il problema dell’invenduto. Un’ampia diffusione di tale contratto, si è avuta nelle vendite on line, anche per i marketplace, anche quando ad essere coinvolti sono operatori che si trovano in diversi Paesi.

Nel contratto di call-off stock un fornitore può costituire uno stock di prodotti presso la sede del proprio cliente, il quale utilizzerà quei beni in funzione della propria necessità. La proprietà dei beni è trasferita al momento del prelievo del bene dallo stock, con la conseguenza che la vendita è conclusa al momento del prelievo. Nel consignment stock il fornitore consegna presso i locali del cliente i beni oggetto del contratto ma su accordo delle parti, la proprietà è trasferita al cliente al momento della vendita dei beni ad un terzo acquirente.

La similitudine è con il contratto di conto deposito, che prevede il differimento del trasferimento della proprietà al momento del prelievo da parte del cliente o di un terzo, fino a quel momento i beni sono di proprietà del fornitore. In considerazione dell’atipicità dell’istituto, la redazione di un contratto ben strutturato è la migliore tutela per le parti coinvolte, anche in considerazione della legge applicabile, che spesso è quella del depositario e dunque è sicuramente più funzionale per le parti negoziare delle condizioni contrattuali chiare e dettagliate. Particolare attenzione deve essere prestata ai seguenti aspetti:

Disciplina della giacenza di magazzino: ai fini fiscali è necessario stabilire espressamente la durata della giacenza dei prodotti nei magazzini e conseguentemente prevedere la destinazione dei prodotti all’esito del periodo o attraverso un meccanismo di acquisto automatico al termine del periodo di giacenza o attraverso contrattualizzazione di un termine di restituzione dei prodotti prima della scadenza.
Modalità di consegna: previsione clausole di ispezione alla consegna presso il luogo di giacenza dello stock anche attraverso la procedimentalizzazione della procedura di accettazione della merce.
Stoccaggio e assicurazioni: inserimento di definite e chiare procedure per la conservazione della merce con diritto di verifica da parte del fornitore. Si consiglia anche la stipula di apposite coperture assicurative della merce anche integrative rispetto a quanto offerto dal depositario, se ritenute non sufficienti anche in relazione alle normative dei diversi Paesi.
Verifica degli stock: previsione di modalità di verifica della corrispondenza fra il dato informatico e il dato reale in modo da controllare la corretta gestione del magazzino da parte del cliente, con la possibilità di procedere a inventari fisici periodici e/o controlli a campione.
Trasferimento del rischio: dal momento che il possesso si trasferisce immediatamente alla consegna è utile sottolineare il momento del passaggio del rischio, prevedendo che si trasferisce sul depositario a far data dalla consegna, quantomeno nelle ipotesi di danneggiamento e sparizione merce.

La peculiarità di tale istituto ed il coinvolgimento nel medesimo contratto di operatori distribuiti in diversi Paesi porta con sé alcune conseguenze sotto il profilo fiscale che sono state disciplinate con diversi interventi normativi.

L’Agenzia delle Entrate era già intervenuta sul tema con la Risoluzione n. 44/E/2000 ha stabilito che affinché si realizzi il contratto di consignment stock in ambito comunitario, occorre che i beni siano consegnati direttamente al cliente presso un proprio deposito fiscale. Oppure presso un deposito anche non fiscale presso il quale, tuttavia, i beni rientrino nella piena disponibilità del cliente comunitario.

La Direttiva UE/2018/1910 del 4 dicembre 2018 è stata emanata con lo scopo di armonizzare il regime fiscale applicabile alle operazioni di call-off stock e di consignment stock fino a quel momento disciplinate in modo autonomo e disomogeneo di ciascun Stato membro. La direttiva introduce un nuovo art 17-bis alla Direttiva Iva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 che recita testualmente: “Non è assimilato a una cessione di beni effettuata a titolo oneroso il trasferimento, d a parte di un soggetto passivo, di un bene della sua impresa a destinazione di una altro stato membro in regime di call off stock”.

Pertanto l’invio della merce in ambito comunitario, pur non perdendo la natura di operazione intracomunitaria, sconta gli effetti fiscali soltanto in un momento successivo coincidente con le seguenti ipotesi:

atto di rivendita o di consumo da parte del depositario/cessionario;
scadere dei termini stabiliti contrattualmente;
comunque entro un anno (12 mesi) dalla spedizione.

 

In conclusione, per rendere applicabile la predetta semplificazione sono necessarie contemporaneamente le seguenti condizioni:

i beni devono spediti o trasportati da un soggetto passivo IVA in uno Stato membro verso un altro Stato membro.
il soggetto passivo che spedisce i beni non ha stabilito, nello Stato membro in cui i beni sono spediti, la sede della propria attività economica, né una stabile organizzazione;
Identificazione dell’acquirente ai fini IVA nello Stato membro in cui i beni sono spediti;
registrazione del trasferimento in un apposito registro e negli elenchi riepilogativi delle cessioni intra-Ue.

In conclusione, è consigliabile al momento della sottoscrizione del contratto, anche qualora lo stesso provenga da operatori specializzati nel settore, esaminare nel dettaglio la legge applicabile soprattutto con riferimento ai profili maggiormente critici sopra evidenziati e negoziare attentamente le singole clausole senza operare rinvii generici, ciò al fine di contenere maggiormente i rischi.

Approfondimenti

Obbligo di verifica del c.d. green pass: modalità e limiti.

Sempre più spesso sentiamo parlare di Green Pass.
Ad oggi, il c.d. certificato verde non serve più solo per partecipare a feste di nozze o per le visite nelle case di riposo per anziani, ma anche per l’accesso a eventi sportivi, fiere, congressi, musei, parchi tematici e di divertimento, teatri, cinema, concerti, concorsi pubblici, istituti scolastici. E l’ingresso in bar, ristoranti, piscine, palestre e centri benessere, limitatamente alle attività al chiuso.
Le multe per i trasgressori sono salate. Vanno da 400 a 1000 euro sia a carico dell’esercente sia del cliente. E in caso di violazione reiterata per tre volte in tre giorni diversi, «l’esercizio potrebbe essere chiuso da 1 a 10 giorni».
Considerato quindi il crescente utilizzo che verosimilmente verrà fatto di questo strumento è necessario fare un po’ di chiarezza sul punto al fine di comprendere chi siano i soggetti tenuti alla verifica e quali modalità devono essere seguite per operare correttamente.
L’Autorità Garante per la Protezione dei dati personali ha ricevuto negli ultimi tempi diversi quesiti, da parte di soggetti a vario titolo destinatari dei nuovi obblighi, introdotti dal D.L. n. 105 del 2021, in relazione all’uso delle certificazioni verdi in “zona bianca”. Tali istanze mirano, in particolare, a ottenere una pronuncia del Garante su questi obblighi, sui limiti e sui presupposti del potere di accertamento dell’identità del titolare delle certificazioni verdi, sui contesti nei quali sia richiesto il possesso di tali attestazioni e sulle implicazioni della loro eventuale inosservanza da parte dei rispettivi destinatari. Ciò in quanto un utilizzo non corretto delle certificazioni verdi e/o delle modalità di verifica delle medesime potrebbero comportare un trattamento illecito di dati personali, con tutte le conseguenze e sanzioni che ne derivano.
Innanzitutto, si può rilevare come la disciplina delle certificazioni verdi sia legittima, sotto il profilo della protezione dei dati, nella misura in cui si inscriva nel perimetro delineato dalla normativa vigente e si limiti al trattamento dei soli dati effettivamente indispensabili alla verifica della sussistenza del requisito soggettivo in esame (titolarità della certificazione da vaccino, tampone o guarigione).
Ai sensi dell’art. 13 del DPCM 17 giugno 2021, la verifica delle certificazioni verdi COVID-19 è effettuate mediante lettura del QR Code tramite l’unica app consentita, ovvero quella sviluppata dal Ministero della Salute “VerificaC 19”, che consente solamente di controllare l’autenticità, la validità e l’integrità della certificazione e di conoscere le generalità dell’intestatario (nome, cognome e data di nascita), senza rendere visibili le informazioni che ne hanno determinato l’emissione.
Non sussiste in capo ai soggetti verificatori alcun obbligo di verifica del documento di identità dell’interessato. Tale possibilità potrà essere fatta valere dal soggetto preposto alla verifica solo ove vi sia una palese incongruenza tra ciò che risulta dalla verifica tramite app “VerificaC 19” e ciò che appare (ad es. nel caso in cui sia palese che la data di nascita riportata sul Green Pass non possa essere quella del soggetto che lo presenta).
Non è invece prevista alcuna possibilità di raccolta e/o archiviazione in qualunque forma delle certificazioni da parte dei soggetti verificatori.
Il trattamento dei dati personali funzionale a tali adempimenti, se condotto conformemente alla disciplina sopra richiamata e nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali (e in primo luogo del principio di minimizzazione) non può, pertanto, comportare l’integrazione degli estremi di alcun illecito, né tantomeno l’irrogazione delle sanzioni paventate nelle note ricevute dal Garante.
Pertanto, le richieste da parte di palestre e centri sportivi ai loro abbonati e associati di trasmissione e consegna, assieme al certificato di sana e robusta costituzione, di copia del Green Pass con evidenziata la relativa data di scadenza rappresentano una violazione della vigente disciplina in materia di protezione dei dati personali giacché il titolare del trattamento – palestra, centro sportivo o qualsiasi altro analogo soggetto – non ha titolo per acquisire la data di scadenza del Green Pass e conservare gli altri dati personali contenuti nel medesimo documento. È evidente e comprensibile che la prassi che si sta andando diffondendo renderebbe più facile la vita ai gestori di palestre e centri sportivi e, forse, anche ad abbonati e associati ma, al tempo stesso, frustra gli obiettivi di bilanciamento tra privacy, tutela della salute e riapertura del Paese, interessi che si è voluto perseguire con l’introduzione del Green Pass e la disciplina relativa alle modalità di verifica.
In conclusione, la disciplina sul Green Pass prevede che lo stesso debba – nei soli luoghi nei quali è necessario ai sensi di quanto previsto dalla legge – essere semplicemente esibito all’ingresso e debba essere letto dagli incaricati esclusivamente attraverso l’apposita app “VerificaC 19” messa a punto dal Governo, app che consente al verificatore di accedere solo a un’informazione binaria: il titolare del documento ha o non ha un Green Pass valido senza alcun riferimento né alla condizione – vaccino, guarigione dal Covid19 o tampone – che ha portato al rilascio del Green Pass, né alla data di scadenza del documento medesimo.

Approfondimenti News

E-COMMERCE E IVA: le novità in vigore dal 1° luglio 2021

Nell’ambito del pacchetto “e-commerce”, in seguito all’approvazione del decreto legislativo n. 83/2021 sono stati recepiti nell’ordinamento italiano gli articoli 2 e 3 della direttiva UE n. 2017/2455 in materia di imposta sul valore aggiunto per le prestazioni di servizi e le vendite a distanza di beni nonché la direttiva UE n. 2019/1995.

Tali disposizioni contengono misure volte a rimodulare la disciplina IVA nell’ambito del commercio elettronico, con lo scopo di facilitare le operazioni transfrontaliere, combattere le frodi e assicurare alle imprese nella Ue condizioni di parità con le imprese di Paesi terzi.

LE PRINCIPALI NOVITA’:

 

Imponibilità IVA nello Stato membro di origine o di destinazione

Ai fini IVA le operazioni di e-commerce indiretto in ambito B2C continuano ad essere territorialmente rilevanti nello Stato membro di destinazione della merce.

Ciò che cambia a decorrere dal 1° luglio 2021 è l’eliminazione delle soglie di protezione (poste di norma a 35.000 euro), che erano state introdotte per evitare che i fornitori dovessero richiedere una posizione IVA in ogni Stato membro UE di destinazione della merce.

Sotto tali soglie (intese come acquisti totali effettuati da persone fisiche di uno Stato membro) l’operazione scontava l’imposta del Paese del fornitore.

Dal 1° luglio 2021, invece, viene previsto quanto segue:

fino alla soglia minima annua di 10.000 euro, l’IVA viene applicata nel Paese del cedente;
al superamento della soglia minima annua di 10.000 euro, da monitorare nel corso di un anno civile, si applicherà l’ordinario criterio impositivo basato sul luogo di destino dei beni, di cui all’articolo 33, lett. a), Direttiva 2006/112/CE.

La soglia è calcolata, per ciascun anno, sommando il valore totale delle vendite a distanza intracomunitarie di beni e delle prestazioni di servizi di telecomunicazione, taleradiodiffusione ed elettronici resi a privati consumatori di altri Stati membri, al netto dell’imposta.

In caso di superamento delle soglie stabilite, il fornitore soggetto passivo IVA, potrà scegliere di applicare il regime del Moss, al fine di evitare l’onere dell’identificazione nei singoli Paesi in cui sono state effettuate le cessioni, nel rispetto delle regole di fatturazione del proprio Stato membro.

 

Marketplace

Le imprese che facilitano le transazioni di e-commerce attraverso piattaforme elettroniche (mercati virtuali) saranno direttamente responsabili dell’applicazione dell’Iva per le seguenti cessioni:

vendite a distanza intracomunitarie di beni e vendite di beni già situati nel territorio dell’Ue, quando effettuate da soggetti passivi stabiliti al di fuori dell’Ue;
vendite a distanza di beni importati da paesi extraUe in spedizioni di valore intrinseco non superiore a 150 euro.

In relazione alle suddette operazioni, si presume infatti che il titolare del mercato virtuale abbia acquistato e venduto i prodotti, su cui dovrà liquidare l’Iva con riferimento al momento in cui è accettato il pagamento del corrispettivo.

 

Nuovo regime per importazione di merci di modico valore (IOSS)

Sempre dal 1° luglio prossimo, viene abolita l’esenzione in ambito Iva per i beni di valore fino a 22 euro importati nell’Ue, per cui tutti i beni commerciali importati nella Ue saranno soggetti ad Iva, indipendentemente dal loro valore.

Allo stesso tempo, viene introdotto un regime speciale di importazione per le vendite a distanza di beni importati di valore non superiore a 150 euro (Import One Stop Shop).

Resteranno in vigore così le seguenti due modalità operative:

Bolletta doganale completa per merci maggiore di 150 euro;
Bolletta doganale semplificata per merci inferiore a 150 euro.

L’Iva sui beni di modico valore potrà essere assolta nel modo seguente:

pagamento come parte del prezzo di acquisto al fornitore/marketplace, mediante lo sportello unico di importazione (IOSS)
pagamento all’importazione nell’UE se il fornitore/marketplace non utilizza lo sportello IOSS.

Aderendo all’IOSS, ai fornitori e ai marketplace è consentito di riscuotere l’Iva sulle vendite di merci di modico valore, spedite o trasportate da un paese extracomunitario a clienti nella Unione Europea, nel seguente modo:

l’importazione è esente da Iva;
l’imposta viene riscossa presso l’acquirente come parte del prezzo e dichiarata e versata tramite lo sportello unico per le importazioni (art. 74-sexies1 del DPR 633/72).

 

Nuovi regimi OSS e IOSS

Altra novità riguarda l’entrata in vigore a partire dal 1° luglio 2021 dei regimi OSS (One Stop Shop) e IOSS (Import One Stop Shop).

Tali regimi introducono un sistema europeo di assolvimento dell’IVA, centralizzato e digitale, che, ampliando il campo di applicazione del MOSS (concernente solo i servizi elettronici, di telecomunicazione e di teleradiodiffusione) ricomprende le seguenti transazioni:

vendite a distanza di beni importati da territori terzi o Paesi terzi (ad eccezione dei beni soggetti ad accise) effettuate da fornitori o tramite l’uso di un’interfaccia elettronica
vendite a distanza intracomunitarie di beni effettuate da fornitori o tramite l’uso di un’interfaccia elettronica
vendite nazionali di beni effettuate tramite l’uso di un’interfaccia elettronica
prestazioni di servizi da parte di soggetti passivi non stabiliti nell’UE o da soggetti passivi stabiliti all’interno dell’UE ma non nello Stato membro di consumo a soggetti non passivi (consumatori finali).

Lo sportello unico semplifica gli obblighi in materia di IVA per le imprese che vendono beni e forniscono servizi a consumatori finali in tutta l’UE, consentendo loro di:

registrarsi elettronicamente ai fini IVA in un unico Stato membro per tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ammissibili a favore di acquirenti situati in tutti gli altri 26 Stati membri
dichiarare l’IVA tramite un’unica dichiarazione elettronica OSS IVA ed effettuare un unico pagamento dell’IVA dovuta su tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi
collaborare con l’amministrazione fiscale dello Stato membro nel quale sono registrati per l’OSS e in un’unica lingua, anche se le loro vendite avvengono in tutta l’UE.

 

 

 

 

 

 

Approfondimenti

Gli strumenti per la ripartenza delle imprese: contratto di rioccupazione e contratto di espansione

Il Decreto “Sostegni-bis” approvato il 20 maggio 2021 dal Consiglio dei Ministri ha introdotto una serie di misure in tema di imprese e lavoro, destinate a sostenere la fase di ripresa delle attività produttive post pandemia con l’obiettivo di scongiurare l’effetto dei licenziamenti di massa e incentivare nuove assunzioni.

Si ricorda, infatti, che contrariamente a quanto inizialmente previsto, il nuovo decreto non ha inserito una nuova proroga al divieto di licenziamento, che rimane confermato fino al 30.06.2021 per la generalità delle aziende che non intendano richiedere la Cassa Integrazione Ordinaria (non COVID) e sino al 31 ottobre 2021 per le aziende che usufruiscono degli ammortizzatori COVID-19 quali FIS, Cassa integrazione in deroga e prestazioni erogate dai Fondi di solidarietà bilaterali.

Contratto di rioccupazione

Uno degli strumenti previsti dal Decreto Sostegni-bis (art. 41) per agevolare nuove assunzioni è il c.d. contratto di rioccupazione. Si tratta di una nuova tipologia di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato rivolto ai lavoratori che si trovino al momento dell’assunzione in stato di disoccupazione ed è caratterizzato da un periodo iniziale di inserimento, al termine del quale le parti possono decidere liberamente se confermare o recedere dal contratto.

Le caratteristiche principali del nuovo contratto di rioccupazione possono essere riassunte come segue:

caratteristica peculiare di tale strumento è la predisposizione da parte del datore di lavoro, con il consenso del lavoratore, di un progetto individuale di inserimento di durata pari a 6 mesi finalizzato a “garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore stesso al nuovo contesto lavorativo”.
Il contratto è soggetto fin dalla sua instaurazione alla disciplina del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con la conseguenza che durante il periodo di inserimento, trovano applicazione le sanzioni previste dalla normativa vigente per il licenziamento illegittimo.
Diverge, invece, dal contratto a tempo indeterminato “standard”, in quanto al termine dei primi 6 mesi di inserimento, le parti possono recedere dal contratto ai sensi dell’art. 2118 cod. civ., con preavviso decorrente dal medesimo termine. Laddove le parti non recedano il rapporto prosegue come un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Ambito di applicazione: sarà possibile assumere con contratto di rioccupazione e godere delle relative agevolazioni per tutti i datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo e del settore domestico, purché nei sei mesi precedenti all’assunzione non abbiano effettuato licenziamenti collettivi o individuali per motivo oggettivo; possono essere assunti solo lavoratori in stato di disoccupazione;
Potranno, inoltre, essere stipulati tali contratti, salvo successive proroghe, soltanto per il periodo dal 01 luglio 2021 al 31 ottobre 2021.
L’incentivo ad assumere con tale tipologia contrattuale consiste nell’ esonero totale dal versamento dei contributi previdenziali – con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all’INAIL – per 6 mesi e nel limite massimo di importo di Euro 6.000,00 annui, da riparametrare ed applicare su base mensile.

L’incentivo rappresentato dall’esonero contributivo totale è, dunque, una buona opportunità di risparmio sul costo lavoro per le aziende, ma occorre fare molta attenzione, in quanto la norma chiarisce espressamente che l’esonero:

è escluso laddove nei 6 mesi precedenti all’assunzione con contratto di rioccupazione, il datore di lavoro abbia intimato licenziamenti per giustificato motivo ovvero abbia avviato procedure di licenziamento collettivo nella medesima unità produttiva;
è revocato (con conseguente restituzione del beneficio già fruito) nel caso in cui il lavoratore venga licenziato durante o al termine del periodo di inserimento, ovvero nel caso in cui il datore di lavoro, nei 6 mesi successivi all’assunzione, avvii un licenziamento collettivo o intimi il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un dipendente impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con lo stesso livello e categoria legale di inquadramento del lavoratore assunto con il contratto di rioccupazione.

Contratto di espansione

Ulteriore strumento, più complesso del primo, finalizzato a favorire la ripartenza delle imprese, è rappresentato dal contratto di espansione, già introdotto dal decreto Crescita come strumento a sostegno dei processi di reindustrializzazione e riorganizzazione delle grandi imprese con organico superiore a 1000 unità.

Il Decreto “Sostegni-bis” è intervenuto riducendo a 100 dipendenti la soglia minima per accedere al “contratto di espansione” rappresentando un’opportunità anche per le PMI.

Le imprese, interessate da tale requisito dimensionale, raggiungibile anche attraverso una rete di imprese, che  intendano avviare modifiche organizzative e produttive finalizzate all’innovazione tecnologica,  possono accedere, attraverso il contratto di espansione, ad un piano  di riorganizzazione  stipulato in sede governativa con le rappresentanze sindacali  e contare in tal modo su cassa integrazione straordinaria e  agevolazioni contributive  per piani di assunzione contestuali alle uscite, volontarie, dei lavoratori più anziani.

La misura prevede, infatti, diversi interventi all’interno dell’azienda, essendo necessario:

un piano assunzioni di risorse umane qualificate e specializzate, in possesso delle competenze necessarie all’impresa per restare competitiva.
Scivoli per la pensione: avvio di piani concordati di esodo per i lavoratori che si trovino a non più di 60 mesi (5 anni) dal conseguimento del diritto alla pensione. Gli interessati devono dare il loro consenso in forma scritta. A questi lavoratori il datore di lavoro riconosce un’indennità mensile, “di esodo”, commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto fino alla prima decorrenza utile della pensione. Da tale somma viene dedotto l’importo di NASPI che sarebbe spettato al lavoratore per tutto il periodo di spettanza dell’indennità di disoccupazione.
Riduzione dell’orario di lavoro dei dipendenti con accesso alla cassa integrazione straordinaria per i lavoratori che non hanno i requisiti per accedere allo scivolo pensionistico per un massimo di 18 mesi; la riduzione media oraria non può superare il 30% dell’orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati. Inoltre, per ciascun lavoratore la percentuale di riduzione complessiva dell’orario di lavoro può essere concordata, fino al 100% nel periodo coperto dal contratto.
un piano di formazione per i dipendenti che abbiano bisogno di aggiornamenti, soprattutto tecnologici.

Per presentare il piano l’impresa deve:

concordare con le RSA o alla RSU delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative le cause di sospensione o di riduzione dell’orario di lavoro, l’entità e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati, nonchè la volontà di sottoscrivere un contratto di espansione ex art. 41 comma 5 e 5 bis D.Lgs. 148/2015.
Deve anche essere presentata domanda di esame congiunto della situazione aziendale al competente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, o agli uffici regionali.

Appalti pubblici Approfondimenti

Green Public Procurement (GPP)/appalti pubblici verdi: le misure di politica ambientale nelle procedure ad evidenza pubblica.

Gli Appalti pubblici verdi (“Green Public Procurement” o “GPP”) consistono in istituti di disciplina della politica ambientale che permettono alla Stazione Appaltante di scegliere servizi e forniture aventi ad impatto ridotto sull’ambiente.

Si tratta, dunque, del primo strumento legislativo nell’ambito degli appalti pubblici volto da un lato a ridurre il consumo energetico e dall’altro ad agevolare lo sviluppo sostenibile.

In primo luogo, l’art. 34 del codice dei contratti pubblici prevede che le stazioni appaltanti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione attraverso l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi (cd. CAM).

Ma prima di tutto è necessario capire cosa sono i criteri ambientali minimi. Gli stessi, definiti per le varie fasi del processo di acquisto, sono volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato.

I CAM sono dotati con Decreto del Ministro dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del mare e la loro applicazione sistematica ed omogenea consente di diffondere le tecnologie ambientali e i prodotti ambientalmente preferibili, inducendo gli operatori economici meno virtuosi ad adeguarsi alle nuove richieste della pubblica amministrazione.

Ma l’aspetto più importante è che i criteri ambientali minimi definiti dal predetto decreto, in particolare i criteri premianti, devono essere tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ex art. 95, comma 6, D. Lgs. 50/2016 e, nel caso di contratti relativi alle categorie di appalto riferite agli interventi di ristrutturazione, inclusi quelli comportanti demolizione e ricostruzione, i suddetti criteri ambientali minimi devono essere tenuti in considerazione, per quanto possibile, in funzione della tipologia di intervento e della localizzazione delle opere da realizzare, sulla base di adeguati criteri definiti dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (art. 34, comma 2, D. Lgs. 50/2016).

La gestione dei CAM necessita però di forti competenze ambientali e procedurali per la redazione di atti di gara di qualità che riduca i ricorsi e garantisca buoni feedback da parte di ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) che vigila sulla correttezza dei bandi pubblici anche sotto questo profilo ambientale (secondo le modalità indicate nel Protocollo siglato con il Ministero dell’Ambiente).

Nell’ambito di tali criteri possono rientrare:

certificazioni e attestazioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, quali OSHAS 18001, caratteristiche sociali, ambientali, contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell’opera o del prodotto;
il possesso di un marchio di qualità ecologica dell’Unione europea (Ecolabel UE);
il costo di utilizzazione e manutenzione, riguardo ai consumi di energia e delle risorse naturali, alle emissioni inquinanti e ai costi complessivi, inclusi quelli esterni e di mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici, riferiti all’intero ciclo di vita dell’opera, bene o servizio;
la compensazione delle emissioni di gas ad effetto serra associate alle attività dell’azienda.

Le stazioni appaltanti, nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento, procedono all’aggiudicazione degli appalti e all’affidamento dei concorsi di progettazione e dei concorsi di idee, sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita (art. 96, D.Lgs. 50/2016).

 

Costituiscono costi del ciclo di vita:

costi relativi all’acquisizione delle risorse;
costi connessi all’utilizzo, quali consumo di energia e altre risorse;
costi di manutenzione;
costi relativi al fine vita, come i costi di raccolta, di smaltimento e di riciclaggio.

Le aziende che intendono partecipare a procedure di gara pubbliche debbono pertanto adeguarsi agli standard ambientali sopra indicati: Firenze Legale è disponibile ad esaminare le caratteristiche e le certificazioni in possesso delle Vostre Aziende.