Approfondimenti Contrattualistica d'impresa

Crypto asset, diritto d’autore e proprietà industriale: sfide e opportunità della creazione digitale

I crypto asset, o asset digitali crittografici, sono risorse digitali che utilizzano tecniche di crittografia per garantire transazioni sicure e per controllare la creazione di nuove unità entità digitali. Questi asset possono includere criptovalute come Bitcoin ed Ethereum, ma anche altre tipologie di risorse digitali basate sulla blockchain o su altre tecnologie di registro distribuito (DLT, Distributed Ledger Technology). Queste possono dividersi in: 1.   Criptovalute: Monete digitali progettate per funzionare come mezzo di scambio. Le più note sono Bitcoin (BTC) ed Ethereum (ETH). Le criptovalute sono decentralizzate, il che significa che non sono controllate da una singola entità, ma funzionano su una rete di nodi distribuiti, la blickchain appunto. 2.   Token: Risorse digitali che rappresentano asset o utilità specifiche all’interno di un ecosistema di blockchain. Questi asset hanno un valore all’interno di un ecosistema, un contesto individuato, e possono dividersi in:        •   Utility Token: Usati per accedere a un prodotto o servizio all’interno di una piattaforma specifica. Più eterei rispetto ai fratelli di seguito richiamati perché vincolati ad un ecosistema artificiale. Un esempio è il token BNB di Binance.        •   Security Token: Rappresentano una partecipazione in un’attività o azienda e sono soggetti a regolamentazioni finanziarie simili ai titoli tradizionali. Il nome, in questo caso, è sinonimo di una maggior sicurezza conferita dalla tangibilità dell’asset di riferimento che in termini giuridici costituisce una sorta di provvista.        •   Stablecoin: Allo stesso modo, sono criptovalute il cui valore è ancorato a un asset monetario stabile, come il dollaro USA o l’oro, per ridurre la volatilità. Un esempio è Tether (USDT). 3.   NFT (Non-Fungible Token): Token unici che rappresentano la proprietà di un oggetto digitale unico, come arte, musica, giochi o altri tipi di media digitali. Sono molto utilizzati nel mercato delle crypto asset in quanto costituiscono un riflesso, ed anzi un’amplificazione di una realtà inventiva ed artistica che praticamente non ha più confini e limiti materiali. I fattori comuni a tutti i crypto asset, quindi, riguardano: la decentralizzazione, riducendo la necessità di intermediari centralizzati come banche o governi; in maniera controintuitiva, la sicurezza conferita dalla crittografia avanzata che protegge le transazioni e le informazioni personali; la trasparenza delle transazioni che sono generalmente registrate su un registro pubblico (blockchain), rendendole trasparenti e verificabili; l’accessibilità, in quanto gli asset possono essere acquistati, venduti e scambiati a livello globale, offrendo accesso ai mercati finanziari anche a chi non ha accesso ai servizi bancari tradizionali. I crypto asset stanno rivoluzionando vari settori del commercio e dei mercati mondiali tra cui la finanza, l’arte, i giochi ed in generale estendono il concetto di proprietà tout court, offrendo nuove opportunità ma anche presentando rischi significativi legati alla volatilità, alla sicurezza e alla regolamentazione. Sotto un profilo strettamente legato alla tutela degli asset aziendali di proprietà industriale, e del diritto d’autore, l’adozione della tecnologia blockchain e dei crypto assets, consente la registrazione temporale e la verifica dell’origine dei dati e dei prodotti, offrendo una maggiore protezione contro la contraffazione. La tracciabilità tramite blockchain permette ai titolari di marchi di monitorare la distribuzione dei prodotti, riducendo perdite e importazioni parallele. I certificati blockchain, che forniscono informazioni dettagliate sui prodotti, aiutano i consumatori a distinguere tra autentico e falso, facilitando una protezione legale rapida ed efficace contro contraffattori e usi impropri dei dati personali. Capita sempre più spesso, poi, che artisti o proprietari digitali, volenterosi di entrare nel mercato degli NFT, realizzino delle opere digitali – che vengono poi registrate tramite NFT garantiti dalla tecnologia blockchain – talvolta ispirate a, se non addirittura mere riproduzioni di, oggetti frutto dell’attività intellettuale o industriale esistenti.  E Quindi, così come gli oggetti prodotti dal frutto dell’inventiva e dell’attività intellettuale sono considerati opere d’arte od opere di proprietà intellettuale, e come tali tutelati secondo le rispettive normative della legge sul Diritto d’Autore e del Codice della proprietà industriale, è opportuno porre l’attenzione sui nuovi sviluppi del fenomeno dei crypto assets, in modo da garantire una effettiva tutela agli investimenti ed agli sforzi realizzati dall’autore e dal proprietario del patrimonio industriale. La creazione di una versione digitale di un oggetto di design protetto come opera dell’ingegno può costituire una rielaborazione dell’opera stessa. Questo avviene perché, pur riconoscendo il contributo artistico dell’artista digitale, l’oggetto di design originale rimane riconoscibile nell’NFT in tutti i suoi elementi. Pertanto, un artista digitale o un’azienda che desidera commissionare la creazione di crypto assets che riproducano (e non semplicemente si ispirino a) oggetti protetti dal diritto d’autore deve necessariamente ottenere l’autorizzazione preventiva dal titolare dei diritti di sfruttamento economico e di elaborazione dell’oggetto di design. Le considerazioni svolte, impongono un’integrazione e talvolta una revisione delle attività di tutela del patrimonio aziendale identificabile nei prodotti derivanti dall’ingegno e dall’inventiva, oltre che degli investimenti, dei proprietari e del frutto dell’arte degli autori, che al tempo stesso deve coinvolgere istituzioni (con una regolamentazione precisa e consapevole del mercato dei crypto assests) ma anche del privato che deve necessariamente intervenire nelle fasi di commercializzazione e sviluppo delle prospettive economiche delle proprie opere, a tutela preventiva da potenziali contraffazioni che possano approfittare del frutto del proprio lavoro. Eventualmente, provvedendo a registrare e proteggere il proprio marchio o il proprio design relativamente a beni virtuali, a beni virtuali od a crypto assets. Infatti, a seguito delle numerose richieste ricevute da coloro che desiderano registrare marchi per beni virtuali e/o NFT, l’EUIPO ha fornito maggiori dettagli sugli approcci adottati dall’Ufficio per classificare tali marchi. Inizialmente, queste informazioni sono state comunicate attraverso note e indicazioni incluse nelle nuove linee guida preliminari, con ulteriori dettagli forniti nelle linee guida definitive. Questo intervento è stato fatto in anticipazione dell’entrata in vigore della 12ª edizione della Classificazione di Nizza il 1° gennaio 2023, che è essenziale per la scelta delle categorie appropriate quando si registra un marchio, specialmente per prodotti e servizi relativi al metaverso, che fino ad allora mancavano di indicazioni specifiche. Tuttavia, l’EUIPO ha sottolineato che l’indicazione generica dei termini “prodotti scaricabili”, “prodotti virtuali” o “non fungible tokens” nella classificazione dei prodotti e servizi della classe 9 non è sufficientemente chiara e precisa. Di conseguenza, chiede ai titolari dei marchi di specificare il contenuto esatto dei prodotti virtuali o il tipo di prodotto autenticato da NFT. Questa precisazione è necessaria poiché i termini standard della Classificazione di Nizza non forniscono informazioni dettagliate sul tipo specifico di prodotto o servizio che si intende proteggere nel contesto digitale e virtuale. Nelle linee guida, l’EUIPO propone esempi di termini più dettagliati e precisi, come “prodotti virtuali scaricabili, ovvero pelletteria virtuale”, “prodotti scaricabili, come file multimediali scaricabili” o “arte digitale scaricabile, autenticata da un NFT”. Inoltre, l’EUIPO specifica che i servizi relativi ai prodotti virtuali o scaricabili, nonché i servizi forniti online o in ambienti virtuali, devono essere classificati considerando la loro natura e il loro impatto nel mondo reale. Ciò implica che la registrazione dei marchi non deve limitarsi alla sola classe 9, ma richiede un’attenta valutazione delle finalità dei beni virtuali e dei crypto assets per determinare le classi appropriate da rivendicare. In risposta all’esigenza di valutare, verificare ed in qualche modo disciplinare il fenomeno, quindi l’Unione Europea ha iniziato a munirsi di strumenti che evidentemente hanno lo scopo di promuovere l’innovazione proteggendo, al tempo stesso, sia i consumatori che i partecipanti, sotto vario ruolo, al mercato dei crypto assets, ancorchè riflesso al mercato comune. Sotto questo punto di vista, quindi, si impone un rinnovato approccio proteso ad una tutela della proprietà industriale e del diritto d’autore che, parallelamente allo sviluppo del fenomeno dell’universo digitale, evolve assieme ad esso. Avv. Niccolò Vanzi
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Il Regolamento Europeo sull’intelligenza artificiale

Il 13 marzo 2024 è stato approvato dal Parlamento europeo il Regolamento Europeo sull’intelligenza artificiale (AI ACT). L’AI Act è il primo tentativo globale di regolare in modo completo e specifico l’uso dell’IA in una vasta gamma di settori, garantendo al contempo la sicurezza dei cittadini europei e la promozione dell’innovazione tecnologica. Si prevede che questo regolamento abbia un impatto significativo su aziende, organizzazioni e istituzioni che sviluppano e utilizzano sistemi di intelligenza artificiale. Il nuovo Regolamento si applicherà a tutti i soggetti pubblici e privati che producono strumenti con tecnologia di intelligenza artificiale rivolti al mercato europeo. Il regolamento riguarda sia i fornitori che gli utilizzatori dei sistemi a intelligenza artificiale. Gli acquirenti dovranno assicurarsi che il prodotto comprato abbia già superato la procedura di valutazione e conformità prevista, che sia provvisto di un marchio di conformità europeo e che sia accompagnato dalla documentazione e dalle istruzioni richieste. Il quadro normativo classifica le applicazioni di intelligenza artificiale in base al livello di rischio che presentano, definendo quattro categorie: rischio inaccettabile, alto, limitato e minimo. Ciò consente un approccio differenziato alla regolamentazione, garantendo che le restrizioni siano proporzionate al potenziale impatto negativo sull’individuo o sulla società. LIVELLO DI RISCHIO INACCETTABILE: comprende i rischi che violano i valori europei. Vi rientrato a titolo esemplificativi gli strumenti di riconoscimento di emozioni da impiegare all’interno di scuole o di luoghi di lavoro, gli applicativi di social scoring (ovvero di selezione in base ai comportamenti), gli strumenti di identificazione biometrica con alcune eccezioni (es. per prevenire un reato). LIVELLO DI RISCHIO ALTO: riguarda le applicazioni con impatto controverso e potenzialmente dannoso per la sicurezza e per i diritti delle persone. Si tratta di tecnologie non proibite, ma ammesse solo in presenza di specifici requisiti. Rientrano in questa categoria i sistemi di Intelligenza Artificiale generativa (come ad es. chat GPT). Per tali applicativi è richiesto l’adempimento di una serie di obblighi: un’approfondita valutazione preventiva dei rischi;la presentazione di tutta la documentazione necessaria per il rilascio dell’autorizzazione;obblighi informativi nei confronti degli utenti sullo scopo dell’applicazione;deve essere consentito l’intervento umano sull’algoritmo;obbligo di trasparenza sugli algoritmi. I sistemi di Intelligenza Artificiale generativa devono inoltre rendere noto agli utenti che i prodotti generati sono prodotti da una macchina e non da esseri umani e devono spiegare come vengono allenati i modelli di linguaggio. LIVELLO DI RISCHIO LIMITATO: riguarda i sistemi ai quali non sono connessi rischi considerevoli. Per tali applicativi sono previsti soltanto obblighi di trasparenza sulle modalità di funzionamento dell’algoritmo. LIVELLO DI RISCHIO MINIMO: non è previsto nessun obbligo di legge. ENTRATA IN VIGORE: Il regolamento sull’Intelligenza Artificiale entrerà in vigore entro giugno 2024, salvo eventuali proroghe, con un periodo di transizione che consenta agli interessati di adeguarsi alle nuove regole e implementare le misure richieste. Entro sei mesi dall’entrata in vigore dovranno essere eliminati gradualmente i sistemi vietati dall’AI Act.Entro dodici mesi si applicheranno le norme di governance generali a tutte le aziende e le PA.Entro due anni dall’entrata in vigore il Regolamento sarà pienamente applicabile, comprese le norme per i sistemi ad alto rischio. IL CONTROLLO: Il controllo sull’applicazione del Regolamento è affidato agli Stati Membri che entro dodici mesi dall’entrata in vigore dovranno costituire apposite autorità locali con il compito di verificare il rispetto della normativa. Anche la Commissione Europea avrà il potere di sorveglianza oltre che di applicazione delle sanzioni in caso di accertamento di violazione. LE SANZIONI: Il regolamento stabilisce le soglie delle sanzioni che saranno poi stabilite dagli Stati membri: fino a 35 milioni di euro o al 7% del fatturato totale annuo mondiale dell’esercizio precedente per le violazioni relative alle pratiche vietate o alla non conformità ai requisiti sui dati;fino a 15 milioni di euro o al 3% del fatturato totale annuo mondiale dell’esercizio precedente per la mancata osservanza di uno qualsiasi degli altri requisiti o obblighi del regolamento, compresa la violazione delle norme sui modelli di IA per uso generale;fino a 7,5 milioni di euro o all’1,5% del fatturato mondiale annuo totale dell’esercizio precedente per la fornitura di informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti agli organismi notificati e alle autorità nazionali competenti in risposta a una richiesta (in tutti i casi a seconda di quale sia il valore più elevato).
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Gli obblighi per le aziende in materia di whistleblowing

Il D.Lgs. 24/2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale S.G. n. 63 del 15 marzo 2023, ha recepito nell’ordinamento giuridico italiano la normativa comunitaria a tutela dei soggetti che segnalano attività illecite o frodi all’interno di un’organizzazione pubblica o privata, c.d. “whistleblower”. L’obiettivo di tale normativa è creare un’armonizzazione in tutti gli Stati membri in tema di protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o UE che ledono l’interesse pubblico, o l’integrità della pubblica amministrazione ovvero dell’ente privato, di cui siano venute a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato. Per “whistleblowers” si intendono non solo dipendenti, ma anche lavoratori autonomi, liberi professionisti e consulenti, i volontari e i tirocinanti, gli azionisti e le persone con funzioni di amministrazione, direzione, controllo e vigilanza o rappresentanza, i candidati, i lavoratori in prova e gli ex dipendenti. GLI OBBLIGHI: Gli obblighi riguardano l’attivazione di canali interni all’azienda per la segnalazione delle violazioni che vengono riscontrate. In alcuni casi è ammesso anche che la segnalazione sia realizzata in via esterna ovvero dandone divulgazione pubblica (per esempio tramite ANAC). Più precisamente, ogni impresa dovrà: istituire canali interni per consentire segnalazioni in forma scritta, anche con modalità informatiche (per esempio piattaforme online), oppure in forma orale, attraverso linee telefoniche, sistemi di messaggistica vocali o incontri diretti con il gestore della segnalazione;affidare la gestione dei canali interni a una persona o a un ufficio interno autonomo, dedicato e con personale specificamente formato, o a un soggetto esterno (il c.d. Ombudsman), anch’esso autonomo e specificamente formato;adottare una procedura per regolamentare in modo preciso la gestione delle segnalazioni, prevedendo tempistiche certe (un avviso di ricevimento entro 7 giorni dalla presentazione della segnalazione e un riscontro sull’esito entro i successivi 3 mesi) e l’obbligo di dare un seguito diligente alle segnalazioni stesse, valutando la veridicità e la sussistenza dei fatti riportati e adottando le necessarie azioni correttive;mettere a disposizione dei possibili segnalanti informazioni chiare sul canale, sulle procedure e sui presupposti per effettuare le segnalazioni interne o esterne (utilizzando il canale appositamente istituito presso l’ANAC) o le divulgazioni pubbliche (tramite mass media);garantire misure di tutela per i segnalanti, consistenti in particolare nella riservatezza della loro identità, con l’esecuzione dei necessari adempimenti in materia di data protection e cyber security, e nel divieto di ritorsioni dirette e indirette nei loro confronti (ad esempio: licenziamento, sospensione, retrocessione di grado o mancata promozione, demansionamento, referenze negative, intimidazioni o molestie, danni reputazionali ecc.). Gli enti privati che hanno meno di 250 dipendenti potranno istituire un canale di segnalazione interna senza obbligo di istituire quello di segnalazione esterna. Un altro adempimento per l’azienda consiste nella conservazione di tutte le segnalazioni ricevute in luogo sicuro in modo che possano essere utilizzate come prove, se necessario. LE SEGNALAZIONI: In particolare, i dipendenti pubblici possono segnalare violazioni sia del diritto comunitario che del diritto interno, attraverso tutti i canali di segnalazione previsti, mentre per i dipendenti del settore privato, la normativa applica una distinzione: I dipendenti di enti privati che nell’ultimo anno hanno impiegato una media di oltre 50 lavoratori e lavoratori di enti che, a prescindere dalle dimensioni, rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’Unione indicati dalla Direttiva (UE) 2019/1937 potranno segnalare soltanto le violazioni del diritto dell’Unione Europea, ovviamente attraverso i canali di segnalazione previsti dal decreto.Gli impiegati presso aziende con una media di lavoratori superiore alle 50 unità, invece, il whistleblower avrà la possibilità di segnalare sia le violazioni contemplate dalla nuova normativa, sia quelle attinenti al diritto dell’Unione Europea, sempre attraverso i canali previsti dal decreto. LA TUTELA DELLA RISERVATEZZA DEL WHISTLEBLOWER: La disciplina introdotta dal D. LGS. 24/2023 rinforza inoltre la tutela della riservatezza del segnalante, disponendo varie misure di protezione che comprendono: l’obbligo di riservatezza in ordine all’identità del segnalante, salvaguardando però anche i diritti di difesa della persona coinvolta/segnalata;un generale divieto di ritorsione;misure di sostegno in favore del whistleblower, assicurate dagli enti del Terzo settore, che sono inseriti in elenchi tenuti dall’ANAC e che forniscono dette misure di sostegno, sulla base di convenzioni stipulate con la stessa autorità. I TERMINI PER L’ADEGUAMENTO: Il decreto detta una serie di obblighi per le aziende italiane pubbliche e private che dovranno essere adempiuti entro specifici termini: Se l’azienda ha più di 250 dipendenti è tenuta a implementare un sistema di segnalazione di illeciti interno entro il 15 luglio 2023;Se l’azienda ha più di 50 dipendenti il termine è esteso fino al 17 dicembre 2023 per adeguarsi ai nuovi requisiti. LE SANZIONI: La normativa prevede un regime sanzionatorio applicabile in caso di violazione delle norme del decreto. In particolare, l’ANAC può infliggere al responsabile delle sanzioni amministrative pecuniarie nei casi in cui: Siano state commesse delle ritorsioni, o qualora si accerti che la segnalazione sia stata ostacolata o che l’obbligo di riservatezza sia stato violato;Non siano stati istituiti canali di segnalazione;non siano state adottate procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni;l’adozione delle procedure non sia conforme alle disposizioni del decreto. È stato inoltre previsto uno specifico regime di responsabilità per il segnalante nell’eventualità in cui abbia formulato segnalazioni diffamatorie o calunniose, commesse con dolo o colpa grave.  Un’ulteriore sanzione è stata istituita per il caso di mancato adeguamento entro i termini stabiliti (15 luglio e 17 dicembre), per la quale l’azienda potrà incorrere in sanzioni fino a 50.000 euro.
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La liquidazione giudiziale: le principali novità introdotte dal Codice delle crisi d’impresa e dell’insolvenza

Il 15 Luglio 2022 è entrato in vigore il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (in forma abbreviata C.C.I.I.) di cui al D.lgs. n. 14 del 12.01.2019, che è stato oggetto di un primo intervento correttivo nel 2020 (D.lgs. 26.10.2020, n. 147) e di un recente ed ulteriore aggiornamento normativo nel 2022 (d.lgs. 17 giugno 2022, 83) finalizzato a dare attuazione alla cd. Direttiva Insolvency (Dir. UE 2019/1023 del 20 giugno 2019).

Dalla lettura del nuovo C.C.I.I. si evince che, le norme relative al procedimento di liquidazione giudiziale (artt. da 121 a 283 del C.C.I.I.), sono state collocate dal legislatore dopo le norme dirette a regolamentare le altre procedure concorsuali; ciò a dimostrazione del fatto che, la liquidazione giudiziale costituisce una procedura avente carattere residuale rispetto agli altri procedimenti che, al contrario, favoriscono la continuità aziendale ed il risanamento dell’impresa.

A di là delle innovazioni terminologiche, quale a titolo di esempio, la sostituzione della parola “fallimento” con quella di “liquidazione”, la disciplina dettata dal C.C.I.I. ha mantenuto invariate le caratteristiche principali della procedura, introducendo una riorganizzazione dell’assetto normativo precedente al fine di rendere la “nuova” procedura liquidatoria più rapida e snella.

 

PRESUPPOSTO SOGGETTIVO

Infatti, con riferimento al presupposto soggettivo, l’art. 121 C.C.I.I. stabilisce che le disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori commerciali che non dimostrino di essere “imprese minori” secondo i requisiti previsti dall’art. 2, co. 1, lett. d), C.C.I.I.

Per “imprese minori”, si intendono quelle imprese che presentino congiuntamente i seguenti requisiti:

un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 300.000,00 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 200.000,00 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.

Le norme sulla liquidazione giudiziale si applicano quindi nei confronti dell’imprenditore commerciale, con esclusione delle imprese agricole, dei professionisti e dei consumatori nei cui confronti sono applicabili, al contrario, le norme relative alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento.

 

PRESUPPOSTO OGGETTIVO

Relativamente al presupposto oggettivo, è necessaria la sussistenza in capo al debitore dello “stato di insolvenza”, come definito dall’art. 2, co. 1, lett. b), C.C.I.I. e che si sostanzia in azioni di inadempimento o altri fatti esteriori, tali da dimostrare che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

Rimane comunque fermo il principio per cui non si fa luogo alla sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati sia complessivamente inferiore ad euro 30.000,00.

 

LEGITTIMAZIONE

La legittimazione a richiedere l’apertura della procedura liquidatoria, ai sensi dell’art. 37, comma 2, C.C.I.I., è riconosciuta al debitore, ad uno o più creditori o al pubblico ministero; tuttavia, è prevista dal nuovo Codice la legittimazione degli organi e delle autorità amministrative aventi funzioni di controllo e di vigilanza sull’impresa.

 

PROCEDIMENTO DI LIQUIDAZIONE

Per quanto attiene allo svolgimento del procedimento di liquidazione, la disciplina dettata dal nuovo C.C.I.I. ricalca sostanzialmente quella delineata dalla legge fallimentare.

Viene infatti previsto un termine di convocazione delle parti non inferiore a 15 giorni rispetto alla data di notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, al fine di garantire un adeguato diritto di difesa e salva la possibilità di abbreviazione dei termini nei casi di urgenza. Inoltre è prevista la possibilità di delega, da parte del Tribunale, al giudice relatore, ai fini dell’audizione delle parti, dell’ammissione e dell’espletamento dei mezzi istruttori.

I singoli atti di liquidazione devono essere autorizzati dal giudice delegato, che ne valuta la conformità al programma approvato (art. 213, comma 7, C.C.I.I.).

Le modalità di liquidazione sono disciplinate dall’art. 216 C.C.I.I., che dispone che la vendita dei beni sia effettuata con procedure competitive e con modalità telematiche, tramite il portale delle vendite pubbliche, salvo che tali modalità siano pregiudizievoli per gli interessi dei creditori.

Il giudice delegato, oltre a determinare le modalità di liquidazione dei beni, può anche ordinare la liquidazione di beni immobili occupati dal debitore (salvo che non si tratti della sua abitazione) o da terzi in forza di titolo non opponibile al curatore.

 

PROCEDURA

Una novità rilevante riguarda l’intervento di terzi nel corso del procedimento, che sarà sempre possibile, ovviamente se si tratta di terzi legittimati alla presentazione della domanda di apertura della procedura, fino a quando il giudice delegato o il Tribunale non si riservino per la decisione.

È stato previsto altresì l’obbligo per la cancelleria, a seguito del deposito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale o del concordato preventivo, di acquisire mediante collegamento telematico diretto alle banche dati dell’Agenzia delle entrate, dell’Inps e del registro delle imprese, i dati e i documenti relativi al debitore.

L’art. 43 C.C.I.I. disciplina poi la fattispecie della rinuncia alla domanda di apertura della liquidazione giudiziale, stabilendo che il procedimento si estingua, con possibilità di condanna alle spese della parte che ha dato avvio al giudizio.

Nell’ottica di una maggiore celerità, il curatore, previa autorizzazione del comitati dei creditori, potrà non acquisire o rinunciare alla liquidazione di beni, se l’attività di liquidazione appare manifestamente non conveniente; tale mancanza di convenienza si presume se, dopo 6 tentativi di vendita, non ha fatto seguito l’aggiudicazione, salvo che il giudice delegato non autorizzi il curatore a continuare l’attività liquidatoria, in presenza di giustificati motivi (art. 213, comma 2, C.C.I.I.).

 

ACCERTAMENTO DEL PASSIVO

In merito all’accertamento dello stato passivo, l’art. 201, comma 1, C.C.I.I. stabilisce che la procedura di accertamento del passivo venga estesa anche alle “domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui” e quindi a quei creditori che non sono tali nei confronti del debitore, ma in favore dei quali lo stesso debitore si è posto come terzo datore di ipoteca.

Per quanto riguarda le domande tardive, l’art. 208 C.C.I.I. ha previsto la riduzione da 12 mesi a 6 mesi dal decreto di esecutività dello stato passivo per la presentazione di tali domande; con riferimento alle domande cd. “supertardive”, è stata prevista la possibilità di una declaratoria di inammissibilità con decreto del giudice delegato, “quando la domanda risulta manifestamente inammissibile perché l’istante non ha indicato le circostanze da cui è dipeso il ritardo o non ne ha offerto prova documentale o non ha indicato i mezzi di prova di cui intende valersi per dimostrarne la non imputabilità” (art. 208, comma 3, C.C.I.I.)”.

Per garantire la speditezza e celerità della procedura, è stato inoltre stabilito che nel programma deve essere indicato “il termine entro il quale avrà inizio l’attività di liquidazione dell’attivo ed il termine del suo presumibile completamento”, che non potrà eccedere i 5 anni dal deposito della sentenza, salvi i casi di eccezionale complessità, in cui questo termine può essere differito a 7 anni dal giudice delegato.

Il procedimento per il riparto è poi disciplinato dagli artt. 220 ss. C.C.I.I., con invio telematico del progetto di ripartizione ai creditori, che hanno quindici giorni di tempo dalla comunicazione per proporre reclamo.

Le somme ricavate dalla liquidazione sono erogate ai creditori secondo l’ordine di ripartizione stabilito dall’art. 221 C.C.I.I., che riproduce l’attuale art. 111 l. fall.

La chiusura della procedura avviene, di regola, al termine del riparto finale.

L’art. 233 C.C.I.I. disciplina le ipotesi di chiusura, che sono le stesse dell’attuale art. 118 l. fall., tuttavia con la opportuna precisazione che, nei casi di chiusura di procedure relative a società di capitali per mancanza di passivo, o per integrale pagamento dei crediti, la società ritorna in bonis, e il curatore provvede a convocare l’assemblea ordinaria dei soci per le deliberazioni necessarie ai fini della ripresa dell’attività o della sua cessazione.

 

ESERCIZIO PROVVISORIO

L’art. 211 C.C.I.I. dispone che, a determinate condizioni, l’apertura della liquidazione giudiziale non determina la cessazione dell’attività d’impresa, quando “dall’interruzione può derivare un grave danno, purché la prosecuzione non arrechi pregiudizio ai creditori”.

L’esercizio provvisorio può essere disposto dal Tribunale già con la sentenza che dichiara aperta la procedura di liquidazione giudiziale, ovvero successivamente dal giudice delegato, su proposta del curatore, previo parere favorevole del comitato dei creditori (art. 211, comma 3, C.C.I.I.).

Resta ferma comunque la possibilità per il Tribunale di ordinare la cessazione dell’esercizio provvisorio in qualsiasi momento, laddove ne ravvisi l’opportunità, con decreto assunto in camera di consiglio, sentiti il curatore e il comitato dei creditori (art. 211, comma 7, C.C.I.I.).

Un’alternativa all’esercizio provvisorio, sempre al fine di conservare i beni aziendali, è data dall’affitto di azienda, che può essere autorizzato dal giudice delegato anche prima della presentazione del programma di liquidazione, su proposta del curatore, previo parere favorevole del comitato dei creditori (art. 212 C.C.I.I.).

 

OBBLIGO DI PROGRAMMAZIONE PER IL CURATORE

La nuova disciplina, ha introdotto un’importante novità anche con riferimento al ruolo del curatore, confermando la necessità di una programmazione, da parte dello stesso delle attività di liquidazione, stabilendo che, entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario e, in ogni caso, entro 180 giorni dalla sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, il curatore debba predisporre il programma di liquidazione, da sottoporre all’approvazione del comitato dei creditori (art. 213, comma 1, C.C.I.I.).

 

Articolo scritto da Avv. Francesca Pelli

 

Approfondimenti Marchi e brevetti

L’etichetta del vino come strumento di marketing: come registrare un marchio e proteggere il brand

Per ogni azienda vinicola l’etichetta posta su ogni bottiglia costituisce la carta di identità del vino che viene messo in commercio.

In essa l’imprenditore raccoglie tutte le informazioni sia prescritte dalla legge che in base alla libera scelta del produttore, quali ad esempio la denominazione di origine, la provenienza, l’uvaggio, la gradazione alcolica, il volume, l’annata, ecc. Tali informazioni sono strategiche e strumentali per far identificare e conoscere le caratteristiche del prodotto al consumatore.

L’etichetta, determinando il primo contatto del consumatore con il vino, non è tuttavia utilizzata dalle aziende al solo fine di informare il consumatore circa le caratteristiche tecniche di un dato prodotto, ma altresì per differenziare il proprio brand dalla concorrenza

Sotto tale aspetto, è innegabile che i consumatori acquistino prima con gli occhi fondando la loro scelta di acquisto sull’impatto visivo.

Se prendiamo a riferimento uno studio di wine.it effettuato su un campione di 2.000 bevitori di vino, l’82% afferma che la decisione di acquistare un vino piuttosto che un altro, dipende dall’etichetta.

Ed allora come può un produttore vinicolo far sì che, su uno scaffale ove sono posizionati una moltitudine di prodotti (magari con le medesime caratteristiche), la sua bottiglia di vino prodotta catturi maggiormente l’attenzione o susciti la curiosità del consumatore?

Di certo, un’azienda vinicola non può prescindere da uno studio dei segni distintivi che, congiuntamente alle altre indicazioni tipiche presenti su tutte le bottiglie di vino, possono essere posti sul’etichetta al fine di rendere il prodotto maggiormente attrattivo ed appetibile rispetto a ciò che si trova sul mercato.

I segni distintivi possono essere figure (il logo dell’azienda, un’immagine della tenuta o delle vigne, un altro simbolo che caratterizza la casa vinicola oppure un’immagine di fantasia che sia distintiva della produzione, ecc.), ovvero parole (il nome dell’azienda, il nome del vino, ecc.).

Si riporta a titolo esemplificativo l’etichetta di una nota azienda vinicola sita nel cuore della Toscana, in cui sono presenti (oltre alla provenienza, all’annata ed alla denominazione), diversi segni caratterizzanti la bottiglia di vino:

– il logo dell’azienda

– il nome del vino “AltoRe”

– il nome dell’azienda “Chioccioli”

 

 

 

 

 

Attraverso l’etichetta caratterizzata da tali segni e ponendo in primo piano lo stemma che rappresenta il logo dell’azienda ed il nome del vino, il produttore ha potuto dare un’identità al proprio vino, ed ha altresì potuto differenziare la sua bottiglia di vino da ogni altro vino I.G.T. della Toscana del 2013.

Al fine di differenziare il proprio brand e rendere la bottiglia di vino più interessante per il consumatore è di assoluta rilevanza lo studio dei segni distintivi ed, in particolare, il loro impatto visivo e la loro forza attrattiva e distintiva.

Così come di assoluta rilevanza è, conseguentemente, la protezione dei segni distintivi e la lotta ad ogni condotta di contraffazione tenuta dalle ditte concorrenti che si concretizza nell’uso dei segni distintivi identici o simili rispetto a quelli utilizzati dalla propria azienda.

Lo strumento di protezione che offre l’ordinamento nazionale è la registrazione del marchio come definito dal Codice della proprietà industriale (CPI), emanato con Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, quale “segno distintivo del prodotto dell’impresa”.

In forza dell’art. 7 del D.L. possono costituire oggetto di REGISTRAZIONE DEL MARCHIO tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente purché siano atti a distinguere prodotti o servizi di un’impresa da quelli delle ditte concorrenti.

Un segno per poter essere registrato deve rispettare i requisiti di novità, capacità distintiva e liceità.

Un segno non può pertanto essere registrato se:

à esistono registrazioni di segni identici o simili al segno che si vuole tutelare anteriori alla nostra domanda;

à è costituito da sole denominazioni generiche (ad esempio la parola “vino”), od indicazioni descrittive (ad esempio le parole “vino bianco” e “vino rosso”);

à è contrario alla legge, al buon costume ed all’ordine pubblico, idoneo ad ingannare il pubblico, o idoneo il diritto di proprietà intellettuale altrui.

Una volta verificata la sussistenza dei menzionati presupposti sarà possibile procedere con il deposito della domanda di registrazione per i segni che si intende inserire sull’etichetta.

Il produttore può decidere di proteggere il proprio segno distintivo:

– sul territorio nazionale: in tal caso per la registrazione del marchio sarà necessario rivolgersi all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi;

– sul territorio comunitario: in tal caso è possibile procedere, alternativamente, con la registrazione del cd. Marchio comunitario presso l’European Union Intellectual Property Office così che la protezione del segno sia estesa a tutti gli Stati facenti parte dell’Europea, ovvero con la registrazione del proprio marchio nei singoli Stati rivolgendosi all’Ufficio di volta in volta competente;

– sul territorio estero: in tal caso si può procedere con l’estensione di un marchio già registrato in Italia od in Europa presso il World Intellectual Property Organization, ovvero con l’ordinaria procedura di registrazione da effettuarsi presso l’Ufficio competente del singolo Stato.

La domanda potrà avere ad oggetto la REGISTRAZIONE DI UN MARCHIO DENOMINATIVO, ossia di una parola (nel nostro esempio, la parola “altore” e la parola “chioccioli”) o di una combinazione di parole e ciò garantisce che per la stessa categoria di prodotti non possa essere utilizzata la parola o la combinazione di parole sottoposte a tutela in ogni forma, font e dimensione.

Tale registrazione è suggerita nelle ipotesi in cui il segno composto unicamente da parole che il titolare intende utilizzare in forme e caratteri diversi. Riprendendo il nostro esempio, la parola “altore” registrata come marchio denominativo garantirebbe al produttore che essa non possa essere utilizzata come rappresentata sull’etichetta con le lettere A e R maiuscole, ma neppure in diverso carattere (ad esempio “ALTORE”, “altore”, “AlToRe”) o con diverso font rispetto a quello utilizzato (ad esempio “AltoRe”, “AltoRe”).

La domanda potrà poi avere ad oggetto la REGISTRAZIONE DI UN MARCHIO FIGURATIVO quando il segno possiede una grafica personalizzata e/o dei caratteri di fantasia e/o dei colori e/o un logo (nel nostro esempio, lo stemma rappresentato sull’etichetta dell’azienda Chioccioli).

Ciò garantisce la tutela dell’esteriorità del marchio e, dunque, di come appare al consumatore in quella specifica forma, dimensione, colore e stile, così che non potrà essere utilizzato da terzi anche se associato ad una diversa parola o frase per distinguere prodotti identici o affini a quelli del suo titolare.

Per la registrazione del marchio occorre poi individuare la classe ed i prodotti ed i servizi in ordine ai quali si procede alla registrazione del marchio, così da delineare a livello oggettivo, i confini di protezione dello stesso e l’ambito all’interno del quale il segno non potrà essere utilizzato da terzi.

Se l’azienda produce unicamente vino ed appone i propri segni solo sull’etichetta delle bottiglie di vino del materiale ad esse connesso potrà procedere con la registrazione dei servizi della classe 33 che comprendere genericamente le bevande alcoliche (eccetto le birre) ed i preparati alcolici per fare bevande; altrimenti dovranno essere individuate ed inserite nella domanda le diverse classi ed i diversi prodotti per i quali il marchio vuole essere utilizzato.

A seguito del deposito la domanda sarà pubblicata e sottoposta a controllo sia da parte dell’Ufficio competente che di terzi e, in caso di mancanza di osservazioni, sarà poi comunicata l’avvenuta registrazione del segno distintivo che – salvo ritardi dell’Ufficio – perviene al titolare nei sei mesi successivi al deposito della domanda.

La protezione del marchio (sia italiano che comunitario) si estende per dieci anni decorrenti dalla data di deposito della domanda di registrazione, data a decorrere dalla quale in virtù dell’art. 20 del CPI il titolare del marchio ha facoltà di fare un uso esclusivo ovvero di vietare a terzi l’uso o la registrazione di un marchio identico per prodotti identici o affini.

 

Articolo scritto da Avv. Benedetta Bacci

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“Women on Boards”: approvata la direttiva che stabilisce le quote rosa nei Cda delle società quotate europee

Dopo 10 anni di attesa è stato raggiunto l’accordo definitivo tra Commissione, Consiglio e Parlamento Europeo per trasformare in legge la direttiva “Women on Boards” che mira a introdurre procedure di assunzione trasparenti nelle aziende dell’Unione Europa, così da permettere che almeno il 40% dei posti ai vertici esecutivi siano occupati da donne.

Entro il 30 giugno 2026, nelle società quotate in borsa dell’Unione Europea, almeno il 40% degli incarichi da amministratori non esecutivi o il 30% di tutti incarichi da amministratori dovranno essere ricoperti da donne. Nei casi in cui i candidati presentino pari qualifiche per una posizione la priorità dovrà andare al candidato appartenente al genere meno presente.

La Commissione europea ha presentato per la prima volta la sua proposta nel 2012 e il Parlamento europeo ha adottato la sua posizione negoziale nel 2013, per poi mantenere una situazione di stallo per quasi 10 anni. Ad oggi, solo il 30,6% dei membri del consiglio di amministrazione delle più grandi società quotate in borsa dell’Ue sono donne, con differenze significative tra gli Stati membri che vanno dal 45,3% in Francia al 8,5% a Cipro.

Vediamo nel dettaglio cosa prevede la direttiva.

 

OGGETTO:

La direttiva mira a raggiungere una rappresentanza più equilibrata di uomini e donne all’interno degli organi amministrativi di società quotate stabilendo misure efficaci per realizzare tale equilibrio.

Le società quotate dovranno raggiungere entro il 30 giugno 2026 uno dei seguenti OBIETTIVI: 40% degli incarichi da amministratori non esecutivi o il 30% di tutti incarichi da amministratori dovranno essere ricoperti dal candidato del sesso sottorappresentato.

 

MEZZI PER RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI:

Le società quotate dovranno adeguare il processo di selezione dei candidati per la nomina di amministratore. La selezione dovrà seguire i seguenti criteri:

analisi comparativa del titolo di studi di ciascun candidato
modalità di presentazione delle domande non discriminatorie
predisposizione di avvisi di posto vacante
processo di preselezione
indicazioni chiara dei criteri di selezione

Nella scelta di candidati in situazione di pari di idoneità, competenza e professionalità, dovrà essere data la priorità al candidato del sesso sottorappresentato, salvo casi eccezionali.

Gli Stati Membri dovranno adottare misure necessarie affinché, nel caso in cui un candidato non selezionato contesti la violazione degli obblighi da parte della società quotata, quest’ultima abbia l’onere di provare dinanzi alle Autorità competenti che non vi è stata alcuna violazione.

 

OBBLIGHI DI TRASPARENZA:

Le società quotate saranno tenute a fornire annualmente alle Autorità competenti informazioni sulla rappresentanza di genere all’interno degli organi amministrativi, con specifica distinzione fra amministratori esecutivi e non esecutivi e con indicazione delle misure adottate per il raggiungimento degli obiettivi prescritti dalla direttiva. Le società saranno altresì tenute a pubblicare tali informazioni all’interno dei propri siti web.

Gli Stati Membri dovranno pubblicare ed aggiornare periodicamente un elenco delle società quotate che hanno raggiunto uno degli obiettivi.

 

CONTROLLO – SANZIONI:

Gli Stati Membri dovranno designare uno o più organismi competenti per l’analisi, il monitoraggio e la promozione dell’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate.

Sarà inoltre rimesso agli Stati Membri il compito di stabilire, in base alla normativa nazionale, le sanzioni applicabili in caso di violazione degli obblighi posti dalla direttiva che potranno essere di natura pecuniaria o potranno comportare la nullità della nomina del candidato eseguita in violazione delle norme sopra citate.

Le sanzioni devono in ogni caso essere effettive, proporzionate e dissuasive.

 

LEGGE APPLICABILE:

Per l’applicazione della direttiva sarà competente lo Stato Membro in cui la società quotata ha la sede legale e sarà applicabile la legge di tale Stato Membro.

 

ESCLUSIONE:

La direttiva non si applica alle piccole e medie imprese (PMI).

 

REVISIONE:

Entro un anno dall’applicazione della direttiva gli Stati membri dovranno predisporre una relazione sull’attuazione della stessa avendo cura di indicare le misure adottate per il raggiungimento degli obiettivi, sanzioni applicate, progressi fatti verso una rappresentanza più equilibrata fra uomo e donna.

 

ENTRATA IN VIGORE:

La direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.

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FONDO IMPRESA DONNA: contributi e agevolazioni a sostegno dell’impresa femminile

La legge di bilancio 2021 (L. n. 178/2020, art. 1, co. 97-106) ha istituito, presso il Ministero dello Sviluppo economico, un Fondo a sostegno dell’impresa femminile con l’obiettivo di incentivare la partecipazione delle donne al mondo delle imprese, supportando le loro competenze e creatività per l’avvio di nuove attività imprenditoriali e la realizzazione di progetti innovativi, attraverso contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati.

Il Fondo finanzierà programmi d’investimento da realizzare entro due anni e con un tetto di spesa ammissibile fissato a 250.000 euro per nuove imprese e fino a 400.000 euro imprese già esistenti.

Gli interventi di supporto del Fondo Impresa Donna possono consistere in:

contributi a fondo perduto per avviare imprese femminili (con particolare attenzione alle imprese individuali e alle attività libero professionali in generale e con specifica attenzione a quelle avviate da donne disoccupate di qualsiasi età);finanziamenti a tasso zero o comunque agevolati (è ammessa anche la combinazione di contributi a fondo perduto e finanziamenti);
incentivi per rafforzare le imprese femminili, costituite da almeno 36 mesi, mediante erogazione di contributi a fondo perduto del fabbisogno di circolante nella misura massima dell’80% della media del circolante degli ultimi 3 esercizi;
percorsi di assistenza tecnico-gestionale, per attività di marketing e di comunicazione durante tutto il periodo di realizzazione degli investimenti o di compimento del programma di spesa, anche attraverso un sistema di voucher;
investimenti nel capitale, anche tramite la sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi, a beneficio esclusivo delle imprese a guida femminile tra start-up innovative e PMI innovative, nei settori individuati in coerenza con gli indirizzi strategici nazionali.

Sono ammesse alle richieste le attività nei settori dell’industria, dell’artigianato, della trasformazione dei prodotti agricoli, dei servizi, del commercio e del turismo.

Le agevolazioni del Fondo Impresa Donna possono essere utilizzate per:

nuovi impianti, macchinari e attrezzature;
immobilizzazioni immateriali;
servizi cloud per la gestione aziendale;
personale dipendente assunto a tempo indeterminato o determinato dopo la data di presentazione della domanda e impiegato nell’iniziativa agevolata.

Il Fondo sostiene, inoltre, azioni per la diffusione della cultura e la formazione imprenditoriale femminile, attuate dal soggetto gestore, sulla base di un piano di attività condiviso con il Ministero, attraverso iniziative per la promozione del valore dell’imprenditoria femminile nelle scuole e nelle università, per la diffusione di cultura imprenditoriale tra le donne, di orientamento e formazione verso percorsi di studio nelle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche, di sensibilizzazione verso professioni tipiche dell’economia digitale e attraverso azioni di comunicazione per diffondere la cultura femminile d’impresa e promuovere i programmi finanziati dal Fondo stesso.

Il Fondo Impresa Donna è destinato alle imprese femminili nascenti o già esistenti, in particolare si rivolge alle seguenti categorie di beneficiari:

cooperative e società di persone con ameno il 60% di donne socie (è previsto l’obbligo che i legali rappresentanti o amministratori non siano mai stati condannati con sentenza definitiva per reati che costituiscono motivo di esclusione dagli appalti);
società di capitale con quote e componenti del CDA per almeno due terzi di donne, sempre con il vincolo dell’assenza di condanne definitive per i reati che comportano esclusione degli appalti pubblici;
imprese individuali la cui titolare è una donna e risulti non condannata in via definitiva per reati che costituiscono motivo di esclusione dagli appalti;
lavoratrici autonome che presentano l’apertura della partita IVA entro 60 giorni dalla comunicazione positiva della valutazione della domanda;
persone fisiche che intendono avviare l’attività purché, entro 60 giorni dalla comunicazione positiva della valutazione della domanda, trasmettano documentazione sull’avvenuta costituzione.

Nel caso di una società, cooperativa, società di capitale o impresa individuale costituita da meno di un anno, la sede legale o operativa dell’impresa deve essere collocata in Italia.

Per garantire il buon funzionamento del fondo, il Ministero si avvarrà anche del Comitato impresa donna istituito in Bilancio e da disciplinare con un apposito Decreto.

Le domande di agevolazione potranno essere compilate e depositate esclusivamente in via telematica, utilizzando la procedura informatica che sarà messa a disposizione in un’apposita sezione del sito internet del Soggetto gestore www.invitalia.it.

La domanda dovrà essere accompagnata da un progetto imprenditoriale contenente:

dati dell’impresa femminile richiedente;
descrizione dell’attività;
analisi del mercato e relative strategie;
aspetti tecnico-produttivi ed organizzativi;
aspetti economico-finanziari.

Per le iniziative relative alle imprese già esistenti, la domanda dovrà essere completata con il bilancio relativo ai tre esercizi antecedenti la presentazione della domanda di agevolazione.

Nel caso di persone fisiche la documentazione atta a comprovare la costituzione dell’impresa o l’apertura della partita IVA dovrà essere trasmessa elettronicamente tramite la procedura informatica, entro 60 giorni dalla data di comunicazione di esito positivo della valutazione.

 

L’apertura dei termini, le modalità per la presentazione delle domande di agevolazione saranno definite dal Ministero dello sviluppo economico con successivo provvedimento, con il quale saranno, altresì, fornite le necessarie specificazioni per la corretta attuazione degli interventi.

Approfondimenti News

E-COMMERCE E IVA: le novità in vigore dal 1° luglio 2021

Nell’ambito del pacchetto “e-commerce”, in seguito all’approvazione del decreto legislativo n. 83/2021 sono stati recepiti nell’ordinamento italiano gli articoli 2 e 3 della direttiva UE n. 2017/2455 in materia di imposta sul valore aggiunto per le prestazioni di servizi e le vendite a distanza di beni nonché la direttiva UE n. 2019/1995.

Tali disposizioni contengono misure volte a rimodulare la disciplina IVA nell’ambito del commercio elettronico, con lo scopo di facilitare le operazioni transfrontaliere, combattere le frodi e assicurare alle imprese nella Ue condizioni di parità con le imprese di Paesi terzi.

LE PRINCIPALI NOVITA’:

 

Imponibilità IVA nello Stato membro di origine o di destinazione

Ai fini IVA le operazioni di e-commerce indiretto in ambito B2C continuano ad essere territorialmente rilevanti nello Stato membro di destinazione della merce.

Ciò che cambia a decorrere dal 1° luglio 2021 è l’eliminazione delle soglie di protezione (poste di norma a 35.000 euro), che erano state introdotte per evitare che i fornitori dovessero richiedere una posizione IVA in ogni Stato membro UE di destinazione della merce.

Sotto tali soglie (intese come acquisti totali effettuati da persone fisiche di uno Stato membro) l’operazione scontava l’imposta del Paese del fornitore.

Dal 1° luglio 2021, invece, viene previsto quanto segue:

fino alla soglia minima annua di 10.000 euro, l’IVA viene applicata nel Paese del cedente;
al superamento della soglia minima annua di 10.000 euro, da monitorare nel corso di un anno civile, si applicherà l’ordinario criterio impositivo basato sul luogo di destino dei beni, di cui all’articolo 33, lett. a), Direttiva 2006/112/CE.

La soglia è calcolata, per ciascun anno, sommando il valore totale delle vendite a distanza intracomunitarie di beni e delle prestazioni di servizi di telecomunicazione, taleradiodiffusione ed elettronici resi a privati consumatori di altri Stati membri, al netto dell’imposta.

In caso di superamento delle soglie stabilite, il fornitore soggetto passivo IVA, potrà scegliere di applicare il regime del Moss, al fine di evitare l’onere dell’identificazione nei singoli Paesi in cui sono state effettuate le cessioni, nel rispetto delle regole di fatturazione del proprio Stato membro.

 

Marketplace

Le imprese che facilitano le transazioni di e-commerce attraverso piattaforme elettroniche (mercati virtuali) saranno direttamente responsabili dell’applicazione dell’Iva per le seguenti cessioni:

vendite a distanza intracomunitarie di beni e vendite di beni già situati nel territorio dell’Ue, quando effettuate da soggetti passivi stabiliti al di fuori dell’Ue;
vendite a distanza di beni importati da paesi extraUe in spedizioni di valore intrinseco non superiore a 150 euro.

In relazione alle suddette operazioni, si presume infatti che il titolare del mercato virtuale abbia acquistato e venduto i prodotti, su cui dovrà liquidare l’Iva con riferimento al momento in cui è accettato il pagamento del corrispettivo.

 

Nuovo regime per importazione di merci di modico valore (IOSS)

Sempre dal 1° luglio prossimo, viene abolita l’esenzione in ambito Iva per i beni di valore fino a 22 euro importati nell’Ue, per cui tutti i beni commerciali importati nella Ue saranno soggetti ad Iva, indipendentemente dal loro valore.

Allo stesso tempo, viene introdotto un regime speciale di importazione per le vendite a distanza di beni importati di valore non superiore a 150 euro (Import One Stop Shop).

Resteranno in vigore così le seguenti due modalità operative:

Bolletta doganale completa per merci maggiore di 150 euro;
Bolletta doganale semplificata per merci inferiore a 150 euro.

L’Iva sui beni di modico valore potrà essere assolta nel modo seguente:

pagamento come parte del prezzo di acquisto al fornitore/marketplace, mediante lo sportello unico di importazione (IOSS)
pagamento all’importazione nell’UE se il fornitore/marketplace non utilizza lo sportello IOSS.

Aderendo all’IOSS, ai fornitori e ai marketplace è consentito di riscuotere l’Iva sulle vendite di merci di modico valore, spedite o trasportate da un paese extracomunitario a clienti nella Unione Europea, nel seguente modo:

l’importazione è esente da Iva;
l’imposta viene riscossa presso l’acquirente come parte del prezzo e dichiarata e versata tramite lo sportello unico per le importazioni (art. 74-sexies1 del DPR 633/72).

 

Nuovi regimi OSS e IOSS

Altra novità riguarda l’entrata in vigore a partire dal 1° luglio 2021 dei regimi OSS (One Stop Shop) e IOSS (Import One Stop Shop).

Tali regimi introducono un sistema europeo di assolvimento dell’IVA, centralizzato e digitale, che, ampliando il campo di applicazione del MOSS (concernente solo i servizi elettronici, di telecomunicazione e di teleradiodiffusione) ricomprende le seguenti transazioni:

vendite a distanza di beni importati da territori terzi o Paesi terzi (ad eccezione dei beni soggetti ad accise) effettuate da fornitori o tramite l’uso di un’interfaccia elettronica
vendite a distanza intracomunitarie di beni effettuate da fornitori o tramite l’uso di un’interfaccia elettronica
vendite nazionali di beni effettuate tramite l’uso di un’interfaccia elettronica
prestazioni di servizi da parte di soggetti passivi non stabiliti nell’UE o da soggetti passivi stabiliti all’interno dell’UE ma non nello Stato membro di consumo a soggetti non passivi (consumatori finali).

Lo sportello unico semplifica gli obblighi in materia di IVA per le imprese che vendono beni e forniscono servizi a consumatori finali in tutta l’UE, consentendo loro di:

registrarsi elettronicamente ai fini IVA in un unico Stato membro per tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ammissibili a favore di acquirenti situati in tutti gli altri 26 Stati membri
dichiarare l’IVA tramite un’unica dichiarazione elettronica OSS IVA ed effettuare un unico pagamento dell’IVA dovuta su tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi
collaborare con l’amministrazione fiscale dello Stato membro nel quale sono registrati per l’OSS e in un’unica lingua, anche se le loro vendite avvengono in tutta l’UE.

 

 

 

 

 

 

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Effetti della Brexit sull’E-commerce

A seguito del referendum del 2017 sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, in cui il 52% ha votato per lasciare l’Unione Europea, è stato dato avvio al processo che ha determinato il 31 gennaio 2020 la Brexit, ovvero la fine dell’adesione del Regno Unito all’Unione Europea.

Ciò ha dato inizio a un periodo di transizione, iniziato appunto il 31 gennaio 2020, durante il quale il Regno Unito ha continuato a far parte del mercato unico, che garantisce la libera circolazione di persone, servizi, merci e capitali all’interno degli stati membri dell’Unione Europea e dell’unione doganale che assicura negli scambi commerciali una tariffa esterna comune a tutte le merci che entrano nel territorio dell’unione.

Il periodo di transizione si è concluso il 31 dicembre 2020, data i cui i rapporti fra Regno Unito e Unione Europea hanno iniziato ad essere regolati dall’accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione sottoscritto il 24 dicembre 2020, che troverà applicazione fino al 28 febbraio 2021, salvo proroghe.

Tale accordo definisce le condizioni della futura collaborazione del Regno Unito con l’UE, incentrate principalmente su:

– un accordo di libero scambio di merci, di servizi e di un’ampia gamma di altri settori di interesse dell’Unione (es. investimenti, concorrenza, aiuti di Stato, trasparenza fiscale, trasporti aerei e stradali, energia e sostenibilità, pesca, protezione dei dati e coordinamento in materia di sicurezza sociale).

– un partenariato per la sicurezza dei cittadini attraverso una cooperazione tra polizie e autorità giudiziarie nazionali, per combattere e perseguire penalmente il crimine e il terrorismo transfrontalieri.

– Un accordo in materia di governance che chiarisca con quali modalità l’accordo sarà gestito e controllato, istituendo un consiglio incaricato di accertarsi che l’accordo sia applicato e interpretato correttamente.

A decorrere dal 1° gennaio 2021 il Regno Unito ha quindi lasciato il mercato unico e l’unione doganale dell’UE insieme a tutte le politiche dell’Unione europea e agli accordi internazionali ed ha avuto pertanto fine la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali tra il Regno Unito e l’Unione europea.

CONSEGUENZE PER L’E-COMMERCE

In tale contesto di rapporti commerciali non ancora ben definiti, un’attenzione particolare viene posta al settore dell’e-commerce, alla luce del fatto che il mercato online britannico è per numero di vendite il terzo più importante a livello europeo.

Con l’uscita del Regno Unito dal Mercato unico europeo e la fine dell’unione doganale, si sono verificati gravi disagi per il commercio elettronico, in particolar modo per ciò che riguarda le attività di logistica e spedizione.

Nessun problema nel caso in cui il merchant disponga di un magazzino in UK, ma qualora venda la merce da un magazzino Italiano (o CEE), tutti gli ordini spediti nel Regno Unito potranno essere soggetti a DAZIO DOGANALE, ovvero un’imposta indiretta applicata sul valore dei prodotti importati ed esportati dal Paese.

L’ammontare dell’imposta viene quantificata dall’Autorità doganale sulla base del valore di ogni singolo prodotto acquistato.

I dazi doganali di norma devono essere pagati dal destinatario, affinché la merce possa effettivamente entrare in suo possesso. Se questo rifiuta il pagamento del dazio, il costo viene automaticamente addebitato al mittente della spedizione.

Oltre al pagamento del dazio, che è appunto una tassa che si aggiunge all’IVA, deve essere tenuto in considerazione anche il costo delle operazioni doganali, ovvero un corrispettivo richiesto dal vettore che corrisponde quindi ad un aggravio dei costi di spedizione.

Il dazio ed il costo per le operazioni doganali devono essere pagati sia quando il prodotto viene inviato all’acquirente che alla restituzione, in caso di reso. Questo crea non pochi problemi per la vendita di tutti quei prodotti il cui costo non riesce ad assorbire il valore dell’imposta.

Deve inoltre essere fatta attenzione alla documentazione accompagnatoria dei prodotti per gli ordini diretti in UK. La documentazione per lo sdoganamento deve contenere informazioni precise sul prodotto, tra cui il codice doganale delle merci, la descrizione dettagliata (marchio, composizione, Paesi di origine), il numero di pezzi, il peso netto e lordo, il valore di ogni articolo e totale, il valore della spedizione, ecc.

CALCOLO DAZI DOGANALI E VERSAMENTO IVA

Per la gestione fiscale e contabile delle vendite online B2C transfrontaliere dell’UE verso il Regno Unito, devono essere tenuti in considerazione il valore della spedizione ed il canale di vendita, quali variabili per determinare l’ammontare della tassa e gli adempimenti da porre in essere.

Per le spedizioni di prodotti con valore complessivo non eccedente £ 135 (inteso come valore dei prodotti, non comprensivo di eventuali oneri, come le spese di spedizione):

non verrà applicato alcun dazio doganale (cd. “low value relief”);
L’IVA sarà dichiarata e versata trimestralmente dal venditore europeo all’HMR, l’agenzia delle entrate britanniche.

Per le spedizioni di prodotti con valore complessivo eccedente £135 verrà applicato il dazio doganale (che può essere calcolato al seguente link ) e l’IVA britannica.

Per tali casi il merchant dovrá decidere se includere il costo dei dazi doganali e dell’IVA nel prezzo di vendita, incaricando il corriere di versare gli oneri d’importazione o se addebitare al destinatario britannico i dazi e l’IVA con pagamento al corriere.

Per quanto concerne invece le vendite effettuate tramite marketplace dal 1° gennaio 2021:

l’applicazione del dazio doganale dipenderà dal valore del prodotto (se eccedente o meno £ 135)
per l’IVA saranno i marketplace (es. Amazon, eBay e Alibaba) i responsabili della riscossione e del versamento dell’Iva sulle vendite B2C realizzate da imprese europee non stabilite in UK, ma con un loro stock nel Paese. Il merchant italiano non stabilito in UK ma con stock in loco dovrà in ogni caso attivare una partita IVA britannica, che sarà necessaria per indicare il valore delle vendite tramite marketplace, così da fare reverse charge all’importazione o richiedere rimborsi, oltre che dichiarare e versare l’Iva sulle vendite B2B.

ADEMPIMENTI PER L’ESPORTAZIONE

Vanno quindi tenuti in considerazione i seguenti adempimenti per le vendite nel Regno Unito tramite e-commerce effettuate dal 1° gennaio 2021:

Attivazione di partita IVA britannica, mediante l’apertura di un account UK Government Gateway. Non è necessario possedere un conto bancario britannico per richiedere un numero di partita IVA britannico.
acquisizione del codice EORI (Economic Operator Registration and Identification): si tratta di un codice di identificazione doganale dell’operatore economico riconosciuto da tutte le autorità doganali comunitarie, che serve come riferimento comune per lo scambio di informazioni tra le autorità doganali, per l’identificazione degli operatori economici e per lo scambio di informazioni tra le autorità doganali ed altri enti/organismi/autorità.
Ricerca codice TARIC: ossia il codice attribuito a ciascun prodotto, necessario per il calcolo dei dazi doganali sulla merce. Un errore nella nomenclatura, e di conseguenza nella tariffa doganale e categoria merceologica, può portare ad una sanzione oltre che al blocco della merce.
Compilazione dei moduli di dichiarazione doganale CN22 e CN23: sono documenti che devono essere obbligatoriamente allegati ai pacchi spediti al di fuori della UE, che vengono usati dalle autorità doganali per verificare le merci in entrata e in uscita da un determinato paese. Contengono informazioni importanti sulla merce che viene spedita ad esempio quali articoli sono inclusi nella spedizione e che valore hanno, identificazione del mittente e del destinatario e quali sono i soggetti coinvolti nella spedizione.
Verifica della necessità di allegare al pacco spedito licenze, certificati o nulla osta di esportazione, che vengono richiesti in casi specifici per particolari categorie di articoli.

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Costituzione online delle società: entro agosto 2021 obbligo di recepimento della Direttiva UE 2019/1151

Entro il 1° agosto 2021 gli Stati UE dovranno adeguare il diritto nazionale per permettere, in alternativa alla procedura ordinaria, la costituzione online di Srl e Srls, la registrazione delle succursali e la presentazione di documenti e informazioni.

Secondo la direttiva UE 2019/1151 sull’utilizzo di strumenti e processi digitali nel diritto societario, la costituzione delle società dovrà poter essere completamente svolta telematicamente, senza che i richiedenti debbano comparire di persona dinanzi a un’autorità o a qualsiasi persona o organismo incaricato a norma del diritto nazionale di occuparsi di qualunque aspetto della costituzione online delle società, compresa la redazione dell’atto costitutivo.

L’obiettivo è quello di dimezzare le tempistiche di registrazione delle società e delle succursali e di ridurre in maniera significativa i relativi costi.

Dovranno essere resi disponibili, per Srl e Srls, i modelli sui portali o sui siti web per la registrazione, accessibili mediante lo Sportello digitale unico: il contenuto dei modelli dovrà essere disciplinato dal diritto nazionale.

Dovrà comunque essere mantenuta la possibilità di redigere gli atti costitutivi in forma di atto pubblico, se il diritto nazionale lo prevede.

 

IDENTIFICAZIONE DEI RICHIEDENTI

Per l’identificazione “a distanza” dei soggetti sottoscrittori potranno essere usati i mezzi adottati nell’ambito del regime di identificazione elettronica approvato a livello nazionale o quelli emessi in un altro Stato UE riconosciuti ai fini dell’autenticazione transfrontaliera nel rispetto delle condizioni del regolamento (UE) n. 910/2014 (regolamento e-IDAS).

Se giustificato da motivi di interesse pubblico per impedire l’usurpazione o l’alterazione di identità, gli Stati UE potranno adottare misure per richiedere una presenza fisica per la verifica dell’identità del richiedente dinanzi a un’autorità, persona od organismo incaricati dal diritto nazionale di trattare tali procedure, compresa l’elaborazione dell’atto costitutivo di una società, ma tale richiesta potrà essere avanzata solo “caso per caso” se vi sono motivi di sospettare una falsificazione dell’identità, mentre qualsiasi altra fase della procedura dovrà essere completata online.

Gli Stati UE dovranno stabilire le procedure per:

garantire che i richiedenti abbiano la capacità giuridica e la capacità di rappresentare la società;
predisporre i mezzi per la verifica dell’identità dei richiedenti;
verificare la legittimità dell’oggetto e della denominazione della società (se tali controlli sono previsti dal diritto nazionale);
verificare la nomina degli amministratori.

 

VERSAMENTO CAPITALE SOCIALE E PAGAMENTI

Per l’eventuale versamento del capitale sociale, il pagamento dovrà poter essere effettuato online su un conto corrente presso una banca che opera nell’Unione Europea. Anche la prova di tali pagamenti dovrà poter essere fornita online.

Gli eventuali pagamenti previsti per gli oneri della procedura dovranno essere online, consentendo “l’identificazione della persona che ha effettuato il pagamento” attraverso un servizio fornito da un istituto finanziario o da un prestatore di servizi di pagamento stabilito in uno Stato membro.

 

OBBLIGHI INFORMATIVI

La Direttiva prevede che vengano “rese disponibili informazioni concise e agevoli, gratuitamente, in almeno una lingua ampiamente compresa dal maggior numero possibile di utenti transfrontalieri, sui portali o sui siti web per la registrazione accessibili mediante lo sportello digitale unico, per assistere nella costituzione di società e nella registrazione di succursali”.

Le informazioni dovranno almeno riguardare le procedure previste per la costituzione delle società e per la registrazione delle succursali, una sintesi delle norme applicabili per diventare membri degli organi di amministrazione, gestione o vigilanza di una società e le altre modalità operative riguardanti la costituzione.

 

TEMPI DI COSTITUZIONE

La costituzione online dovrà essere completata entro i seguenti termini:

5 giorni lavorativi, se la società sarà costituita esclusivamente da persone fisiche che utilizzino i modelli di cui all’art. 13-nonies;
10 giorni lavorativinegli altri casi, a decorrere dall’ultimo degli adempimenti previsti dalla Direttiva (la data di adempimento di tutte le formalità richieste per la costituzione online, la data del pagamento di una commissione di registrazione, il pagamento del capitale sociale in contanti, etc).

In caso di ritardo il richiedente dovrà essere informato sulle motivazioni di tale ritardo.

 

AMMINISTRATORI INTERDETTI

Gli Stati membri dovranno introdurre a livello nazionale norme che disciplinino il caso in cui la persona che fa parte dell’organo amministrativo sia stata interdetta dalla funzione di amministratore.

 

TEMPI DI RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA

Per il recepimento delle nuove disposizioni sono previsti per gli Stati membri i seguenti termini:

entro il 1° agosto 2021 gli Stati dovranno trasporre nel diritto interno la direttiva (UE) 2019/1151, adottando le necessarie opportune disposizioni legislative, regolamentari e amministrative e informando immediatamente la Commissione;
entro il 1° agosto 2023 gli Stati dovranno:

à prevedere le procedure di costituzione online delle società, precisarne le modalità, mettere a disposizione i modelli sui portali o sui siti web per la registrazione accessibili mediante lo sportello digitale unico);

à stabilire le norme sull’interdizione degli amministratori

à prevedere la possibilità di verificare elettronicamente l’origine e l’integrità di informazioni e documenti societari presentati online;

à costituire un fascicolo presso il registro di commercio o presso il registro delle imprese per ogni società iscritta e predisposizione dell’identificativo unico europeo, “EUID”.

In deroga alla norma che fissa la scadenza del 1° agosto 2021, gli Stati membri che incontrano particolari difficoltà nel recepimento della direttiva (UE) 2019/1151 hanno il diritto di beneficiare di una proroga di massimo un anno, a patto che forniscano i “motivi oggettivi della necessità di tale proroga”: gli Stati membri dovranno notificare alla Commissione, entro il 1° febbraio 2021, l’intenzione di avvalersi della proroga.