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Verso Il Decreto Correttivo al Codice degli Appalti Pubblici: le novità riguardanti i contratti di importo inferiore alle soglie europee.

Il 21 Ottobre scorso è stato approvato, in esame preliminare, dal Consiglio dei Ministri, il Decreto Legislativo “correttivo” al Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs n. 36/2023). Tale intervento si prefigge lo scopo di ottimizzare e agevolare la disciplina del Codice degli Appalti, recependo, in particolare, le esigenze manifestate dagli attori del sistema (Pubbliche Amministrazioni e Operatori Economici). Il provvedimento introduce alcune correzioni a sostegno degli investimenti pubblici con particolare riferimento alle seguenti tematiche: equo compenso;tutele lavoristiche; revisione dei prezzi;incentivi ai dirigenti RUP;consorzi;PMI;finanza di progetto; garanzie fideiussorie;qualificazione delle stazioni appaltanti; contratti di importo inferiore alle soglie europee. Particolare attenzione meritano le modifiche riguardanti i contratti di importo inferiore alle soglie europee (disciplinati dagli artt. 48 – 55 del D.lgs 36/2023) ed, in particolare, il principio di rotazione degli inviti di cui all’art. 49 del D.lgs 36/2023. In passato erano, infatti, state evidenziate da parte di ANAC diverse problematiche riguardanti l’istituto della rotazione. Nello specifico, ANAC ha più volte proposto in passato di rafforzare il principio di cui all’art. 49 estendendo la rotazione anche ai soggetti precedentemente invitati seppure non aggiudicatari. Tuttavia, l’art. 13 del Decreto Correttivo recepisce solo parzialmente le proposte di modifica dell’ANAC, prevedendo che il contraente uscente possa essere reinvitato o individuato come affidatario diretto, ma solo in caso di “motivi adeguati”, legati alla struttura del mercato e alla effettiva assenza di alternative. In particolare, tale scelta, secondo quanto introdotto dal decreto correttivo, deve essere giustificata dalla verifica dell’accurata esecuzione del precedente contratto e dalla qualità della prestazione fornita. Al fine di fornire una motivazione dettagliata per giustificare la deroga al principio di rotazione viene, inoltre, previsto che il Responsabile Unico del Procedimento (RUP) attesti la qualità del servizio già reso.  L’aspetto più significativo riguarda la circostanza che il rafforzamento della motivazione si applicherebbe anche agli affidamenti che coinvolgono operatori economici non aggiudicatari delle precedenti procedure. Il correttivo al Codice degli Appalti interviene, quindi rafforzando l’obbligo di motivazione per giustificare la scelta di reinvitare l’appaltatore uscente da parte della Stazione Appaltante. Sempre in tema di contratti sotto-soglia, si segnalano le modifiche all’art. 53 del D.lgs 36/2023 con l’introduzione della possibilità per la Stazione Appaltante di non richiedere la garanzia per la rata di saldo; con l’ulteriore specificazione che, in questo tipo di contratti, gli importi delle garanzie (provvisoria e definitiva) non sono soggetti alle riduzioni e agli aumenti previste per il sopra-soglia. Lo schema di Decreto Legislativo approvato dal CDM dovrà, tuttavia, i dovuti pareri di approvazione e potrà essere oggetto di modifica. Pertanto, la Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale avverrà, presumibilmente, entro la fine dell’anno. Firenze Legale monitorerà il correttivo ed è a disposizione per chiarimenti in merito.
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Via libera alle procedure aperte per gli affidamenti sotto soglia? i chiarimenti del MIT.

Il nuovo codice dei contratti pubblici, d.lgs. 3672023 entrato in vigore il 1 luglio 2023, prevede all’art. 50 le modalità di svolgimento delle procedure di gara per appalti di valore inferiore alla soglia comunitaria. In estrema sintesi, l’art. 50 stabilisce che le stazioni appaltanti procedono all’affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture con le seguenti modalità: a) affidamento diretto per lavori di importo inferiore a 150mila euro, anche senza consultazione di più operatori economici; b) affidamento diretto dei servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo inferiore a 140mila euro, anche senza consultazione di più operatori economici; c) procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, individuati in base a indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, per i lavori di importo pari o superiore a 150mila euro e inferiore a 1 milione di euro; d) procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno dieci operatori economici, ove esistenti, individuati in base a indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, per lavori di importo pari o superiore a 1 milione di euro e fino alle soglie di cui all’articolo 14, salva la possibilità di ricorrere alle procedure di scelta del contraente di cui alla Parte IV del presente Libro; e) procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, individuati in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, per l’affidamento di servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo pari o superiore a 140milaeuro e fino alle soglie di cui all’articolo 14. La norma sembra voler imporre alle stazioni appaltanti l’utilizzo delle procedure di affidamento diretto e negoziate per gli importi sopra elencati. Ciò è ricavabile proprio dall’interpretazione letterale della norma, la quale utilizza il tempo indicativo presente (“le stazioni appaltanti procedono” anziché “le stazioni appaltanti possono procedere” come previsto invece nel vecchio codice, d.lgs. 50/2016), nel prevedere le procedure da applicare. Inoltre, è la norma stessa ad indicare per i soli casi sub d) (procedura negoziata per lavori di importo pari o superiore a 1 milione di euro e fino alle soglie di cui all’articolo 14) che la procedura negoziata possa essere sostituita dalla procedura aperta ordinaria. In buona sostanza, sarebbe stato introdotto dal nuovo codice il divieto di utilizzo di procedure aperte ordinarie per tutti gli appalti sotto soglia comunitaria (salva la categoria prevista all’art. 50 comma 1 lett. d). Sennonché il Mit, con circolare interpretativa del 20 novembre 2023 n. 298 rileva che le procedure sotto soglia debbono essere interpretate alla luce del principio del risultato; degli ulteriori principi del Titolo I, Parte I, Primo Libro del Codice e dei principi generali dell’ordinamento attraverso le prassi delle Amministrazioni pubbliche e della giurisprudenza. Pertanto, precisa la Circolare, per gli affidamenti sotto soglia è possibile scegliere, nel solco dei principi e delle regole della normativa di settore dell’Unione europea, tra l’applicazione di procedure aperte o ristrette, come disposto dalla Direttiva 2014/24/ UE. Dunque, l’interpretazione che sembrava imporre il divieto dell’utilizzo di procedure aperte per appalti sotto soglia  non trova il consenso del MIT.
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I CCNL nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici.

Il 1° aprile 2023 è entrato in vigore il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36), le cui norme troveranno applicazione dal 1° luglio 2023.

Il decreto, che sostituisce il D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, è stato adottato per dare attuazione ai principi espressi nella legge delega 21 giugno 2022, n. 78, tra i quali rientrano:

la semplificazione delle norme;
la digitalizzazione;
la trasparenza;
la tutela dei lavoratori.

In particolare l’art. 11 disciplina il principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali e di settore e i profili relativi alle inadempienze e al ritardo dei pagamenti.

 

Come viene precisato anche nella relazione illustrativa, tale principio non estende l’efficacia del contratto collettivo di settore a tutti i lavoratori, ma si limita a indicare le condizioni contrattuali minime che l’aggiudicatario deve applicare al personale impiegato.

 

È al secondo comma che la norma in esame mostra tutta la sua portata innovativa: si prevede infatti l’obbligo per le stazioni appalti e per gli enti concedenti di indicare nei bandi e negli inviti il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione. In altre parole, il contratto collettivo da applicare al personale dipendente viene indicato negli atti di gara dalla stazione appaltante.

 

Emerge però una criticità: L’operatore economico può applicare un contratto collettivo differente da quello previsto in gara? se ciò è possibile, qual è il criterio per stabilire se il contratto collettivo applicato sia idoneo allo svolgimento dell’appalto?

 

Dalla piana lettura della norma, la risposta al primo quesito formulato sembra positiva purchè:

 

laddove l’operatore economico concorrente applichi un contratto collettivo differente, dovrà indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo applicato;
il predetto CCNL garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente”;
prima dell’affidamento o dell’aggiudicazione le stazioni appaltanti acquisiscano la dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele. (…).

 

Gli operatori economici possono quindi applicare anche un contratto diverso da quello individuato dalla stazione appaltante (purché coerente con l’oggetto dell’appalto), ma devono dichiaralo nella propria offerta, impegnandosi ad assicurane l’applicazione per tutta la durata dell’appalto. Alla stazione appaltante resta poi il compito di valutare la dichiarazione per verificare se il contratto collettivo indicato dall’operatore economico garantisca le medesime tutele riportato negli atti di gara.

 

Tuttavia le norme in commento non sembrano risolvere a pieno la problematica, perché vi possono essere casi in cui siano individuabili più contratti collettivi molto diversi tra loro, con caratteristiche e standard di tutela differenti (si pensi al caso di un appalto di fornitura, che preveda anche il trasporto e il montaggio).

 

Le medesime condizioni vengono inoltre garantite ai subappaltatori. Anche l’operatore economico che agisce in subappalto sarà quindi chiamato ad applicare il contratto collettivo nazionale indicato negli atti di gara, ovvero uno che garantisca ai propri dipendenti le medesime tutele.

 

Resta in essere quanto già previsto dal vecchio codice con riferimento all’intervento sostitutivo della stazione appaltante nel caso di inadempienze contributive o retributive dell’impresa affidataria o del subappaltatore.

In particolare:

– In caso di inadempienza contributiva risultante dal documento unico di regolarità contributiva (DURC) relativo a personale dipendente dell’affidatario (o dell’eventuale subappaltatore) impiegato nell’esecuzione del contratto, la stazione appaltante trattiene dal certificato di pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza ed esegue il versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi, compresa, nei lavori, la cassa edile. Sull’importo netto progressivo delle prestazioni viene operata una ritenuta dello 0,50 per cento. Le ritenute possono essere svicolate soltanto dopo il collaudo o la verifica di conformità, in sede di liquidazione finale, qualora sia stato rilasciato il DURC;

– Nel caso di ritardo nel pagamento dovuto al personale dipendente, il RUP invita per iscritto il soggetto inadempiente, ed in ogni caso l’affidatario, a provvedervi entro i successivi 15 quindici giorni. Qualora non sia stata contestata formalmente e motivatamente la fondatezza della richiesta entro il termine suddetto la stazione appaltante paga anche in corso d’opera direttamente ai lavoratori le retribuzioni arretrate, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’affidatario del contratto ovvero dalle somme dovute al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto.

 

Conclusioni:

Senza dubbio l’art. 11 del D.lgs. 36/2023 amplia la tutela per il personale dipendente impiegato negli appalti pubblici.

Tuttavia, come abbiamo visto, restano aperte questioni non di poco conto, non essendo sempre possibile individuare in modo coerente il contratto collettivo applicabile all’appalto in questione.

Sarà quindi importante verificare in sede di applicazione quale sarà la prassi che si consoliderà ed eventualmente i criteri suggeriti dalla giurisprudenza per la corretta individuazione del contratto collettivo/dei contratti collettivi applicabili nelle varie tipologie di appalto.

Approfondimenti

Revisione dei prezzi negli appalti pubblici: atto dovuto.

È ormai di pubblico dominio la circostanza che l’attuale situazione mondiale che sta comportando un aumento dei prezzi di varie materie prime che indubbiamente vanno ad incidere sul costo di esecuzione di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture.

È pertanto oggetto di valutazione, sia da parte degli operatori economici, sia da parte delle stazioni appaltanti, se ed in quali termini siano ammissibili richieste di rinegoziazione contrattuale.

In via generale, l’art. 106 del codice dei contratti pubblici prevede l’immodificabilità dei prezzi, salvo espressa previsione, da parte della stazione appaltante, negli atti di gara.

Al fine di ovviare alla problematica relativa all’impossibilità di revisionare i prezzi, il legislatore è più volte intervenuto nel primo semestre 2022 per risolvere la problematica.

In primo luogo: secondo il d.l. 27 gennaio 2022, n. 4 recante “Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico”, fino al 31/12/2023, trova applicazione la revisione dei prezzi prevista all’art. 29 comma 1 lettera a).

Aggiunge, inoltre, l’art. 29, che per i contratti relativi ai lavori,  in  deroga  all’articolo 106, comma 1, lettera a), quarto periodo, del decreto legislativo  50 del 2016,  le  variazioni  di  prezzo  dei  singoli  materiali  da costruzione,  in  aumento  o  in  diminuzione,  sono  valutate  dalla stazione appaltante soltanto se tali variazioni  risultano  superiori al cinque  per  cento  rispetto  al  prezzo,  rilevato  nell’anno  di presentazione dell’offerta, anche tenendo conto  di  quanto  previsto dal decreto del Ministero  delle  infrastrutture  e  della  mobilità sostenibili di cui al comma  2,  secondo  periodo.

Questa misura, tuttavia, non si è rivelata sufficiente a coprire l’aumento dei costi subiti dagli operatori economici per eseguire correttamente i contratti di appalto, soprattutto per quanto concerne gli appalti pubblicati prima dell’intervento del d.l. 4/2022, non rientranti nell’applicazione della norma e aggiudicati a prezzi attualmente insostenibili.

Anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione (delibera n. 227 dell’11 maggio 2022) ha rilevato che in ragione degli eventi che hanno contraddistinto l’andamento economico degli ultimi due anni, è ammessa la possibilità per le Stazioni Appaltanti di disporre la sospensione del contratto per il tempo strettamente necessario, nel rispetto delle indicazioni riportate nell’articolo 107 del codice dei contratti pubblici oppure di rinegoziare i termini concordati per l’adempimento.

In questo quadro critico, è intervenuto l’art. 26 del 50/2020, comunemente conosciuto come decreto aiuti.

La norma, come noto, ha la finalità di fronteggiare il rincaro eccezionale non solo dei materiali da costruzione ma anche dei carburanti e dei prodotti energetici riferita a contratti affidati sulla base delle offerte presentate entro il 31.12.2021.

Va evidenziato prima di tutto che la norma riguarda soltanto gli appalti di lavori, e non anche gli affidamenti di servizi e forniture.

L’art. 26 comma 1 del decreto aiuti prevede che gli Stati di Avanzamento dei Lavori (SAL) relativi alle lavorazioni contabilizzate tra il 1 gennaio 2022 e il 31 dicembre 2022 sono adottati, in deroga alle disposizioni contrattuali, applicando i prezziari aggiornati al 31.7.2022 o, in mancanza, applicando un incremento fino al 20% dei prezziari aggiornati al 31 dicembre 2021 e in uso.

La committente è tenuta a riconoscere tali maggiori importi nella misura del 90%.

Per i SAL relativi alle lavorazioni contabilizzate o allibrate tra il 1 gennaio 2022 e 18 maggio 2022 già adottati e per i quali sia già intervenuto un certificato di pagamento, è emesso un certificato di pagamento straordinario che contiene la determinazione dei maggiori oneri spettanti all’appaltatore, determinati applicando i prezziari aggiornati al 31 luglio 2022 o, in mancanza, applicando un incremento fino al 20% dei prezziari aggiornati al 31 dicembre 2021 e in uso. In questo caso, il certificato di pagamento straordinario deve essere adottato entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto aiuti.

In entrambi i casi, i pagamenti sono effettuati al netto di eventuali compensazioni ottenute dall’appaltatore tramite l’attivazione di clausole revisione prezzi contenute nei contratti. Quanto al termine, i pagamenti devono essere effettuati entro 30 giorni dall’adozione di ogni SAL.

È essenziale evidenziare che il comma 2 dispone che i prezziari regionali in uso per il 2022 devono essere aggiornati entro il 31 luglio 2022.

Le regole per la redazione dei prezziari sono contenute nelle Linee Guida del MIMS che, in attuazione dell’art. 29, comma 12 del d.l. 4/2022 (l. 25/2022), dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) essere adottate a breve.

Come previsto anche dall’art. 23 del Codice, qualora le regioni non provvedano nei tempi indicati, spetta alle diramazioni territoriali del MIMS procedere alla redazione dei prezziari, ma entro 15 giorni, e non 30, come previsto dal Codice.

I prezziari aggiornati entro il 31 luglio 2022 cessano di avere efficacia il 31 dicembre 2022 e possono essere utilizzati fino al 31 marzo 2023 unicamente per i progetti che verranno approvati entro tale data.

Nelle more della determinazione dei prezziari, il comma 3 dell’art. 26 prevede che ai fini delle determinazioni del costo dei prodotti, delle attrezzature e delle lavorazioni, le committenti incrementano fino al 20% le risultanze dei prezziari in uso e aggiornati al 2021.

In sostanza, anche prima dell’aggiornamento dei prezzari, la Stazione Appaltante è tenuta a corrispondere un incremento fino al 20%, proprio al fine di evitare che l’attuale condizione economica possa aggravarsi ulteriormente.

Nonostante l’entrata in vigore di tali disposizioni, già di per sè complesse, resta poca chiarezza sul tema della revisione dei prezzi nell’ambito degli appalti di servizi e forniture.

Firenze Legale monitorerà l’emanazione dei provvedimenti normativi, anche in ambito regionale e resta a disposizione in caso di necessità di approfondimenti.

Approfondimenti

Bonus edilizi e Decreto Antifrodi: non si applica l’asseverazione per le fatture precedenti al 12 novembre 2021.

Come ormai noto, nel 2020 il Governo ha approvato varie misure di agevolazione, in materia edilizia, per incrementare interventi di ristrutturazioni edilizie, riqualificazioni energetiche, misure antisismiche, installazione impianti fotovoltaici ecc.
Sennonché, negli ultimi mesi l’Agenzia delle Entrate ha segnalato a un anno dall’entrata in vigore dei bonus edilizi, sono state già individuate truffe per 800 milioni di euro su 19,3 miliardi di scambi.
Di qui, l’esigenza di emanare disposizioni normative che ovviassero alla problematica appena rappresentata.
Il 12 novembre 2021 è dunque entrato in vigore il cd. Decreto Legge Antifrodi.
Le novità salienti del Decreto sono essenzialmente due:
– Estensione del visto di conformità anche per la fruizione diretta del superbonus 110 per cento. Tale visto era già previsto per le opzioni di fruizione indiretta dell’agevolazione previste dall’articolo 121 del Decreto Rilancio, ovvero la cessione del credito e lo sconto in fattura. L’estensione dell’obbligo di tale visto si applica anche agli altri bonus edilizi per interventi che rientrano in altre agevolazioni, nei casi in cui si sceglie la cessione del credito o lo sconto in fattura.
– Introduzione dell’asseverazione della congruità delle spese. In sostanza, deve essere attestato che le spese sostenute sono adeguate alla tipologia degli interventi realizzati e ai risultati raggiunti. Il Decreto Antifrode stabilisce che l’asseverazione venga rilasciata non solo sulla base del DM Requisiti Tecnici e massimali di costo, ma anche di un nuovo decreto del Mite, che definirà i valori massimi per alcune categorie di beni non contemplate nel DM Requisiti Tecnici e massimali di costo. Nell’attesa che il decreto del Mite venga emanato, per questi beni l’unico riferimento è ravvisabile nei prezzari regionali.
Il punto critico del Decreto Antifrodi consiste nel fatto che lo stesso non evidenzia alcun ambito applicativo, sotto un profilo temporale.
Pertanto, secondo primi ed autorevoli orientamenti, l’obbligo dei nuovi adempimenti riguarderebbe anche i lavori già avviati e in corso di esecuzione e ultimazione. Con la conseguenza, non banale sotto un profilo pratico, che anche i lavori già iniziati dovranno essere oggetto di revisione.
Si pensi, in particolare, alle fatture, già emesse e pagate, che non sono espressamente riferibili a prezziari regionali e che necessiterebbero, dunque, di una complessa ricostruzione a posteriori da parte del professionista.
Sono tuttavia intervenuti, il 22 novembre 2021, i chiarimenti interpretativi dell’Agenzia delle Entrate.
L’Agenzia chiarisce in primo luogo che l’obbligo di apposizione del visto di conformità e dell’asseverazione, introdotto dal Dl n. 157/2021 non si applica ai contribuenti che prima del 12 novembre 2021 (data di pubblicazione in gazzetta ufficiale del Dl n. 157/2021) hanno ricevuto le fatture da parte di un fornitore, assolto i relativi pagamenti ed esercitato l’opzione per la cessione o per lo sconto in fattura, anche se la relativa comunicazione non è stata ancora inviata. Con riferimento, invece, ai tecnici, viene chiarito che i professionisti abilitati alla verifica della congruità delle spese per gli interventi ammessi al Superbonus possono rilasciare per lo stesso tipo di intervento anche la nuova attestazione di congruità delle spese sostenute prevista dall’articolo 1 del Dl n. 157/2021.
In buona sostanza, l’obbligo del visto di conformità e dell’asseverazione ai fini dell’opzione per lo sconto in fattura o la cessione del credito si applica, in via di principio, alle comunicazioni trasmesse in via telematica all’Agenzia delle entrate a decorrere dal 12 novembre 2021.
In ragione della tutela dell’affidamento dei contribuenti in buona fede che abbiano ricevuto le fatture da parte di un fornitore, assolto i relativi pagamenti a loro carico ed esercitato l’opzione per la cessione, attraverso la stipula di accordi tra cedente e cessionario, o per lo sconto in fattura, mediante la relativa annotazione, anteriormente alla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 157 del 2021, anche se non abbiano ancora provveduto all’invio della comunicazione telematica all’Agenzia delle entrate si ritiene che in tali ipotesi non sussista il predetto obbligo di apposizione del visto di conformità alla comunicazione dell’opzione all’Agenzia delle entrate e dell’asseverazione. Al riguardo, si precisa che, per consentire la trasmissione di tali comunicazioni, le relative procedure telematiche dell’Agenzia delle entrate saranno aggiornate entro il prossimo 26 novembre.
Va da sé che le comunicazioni delle opzioni inviate entro l’11 novembre 2021, relative alle detrazioni diverse dal Superbonus, per le quali l’Agenzia delle Entrate ha rilasciato regolare ricevuta di accoglimento, non sono soggette alla nuova disciplina di cui al comma 1-ter dell’articolo 121 del Decreto Legge n. 34/2020 e, dunque, non sono richiesti l’apposizione del visto di conformità e l’asseverazione della congruità delle spese. I relativi crediti possono essere accettati, ed eventualmente ulteriormente ceduti, senza richiedere il visto di conformità e l’asseverazione della congruità delle spese, anche dopo l’11 novembre 2021, fatta salva la procedura di controllo preventivo e sospensione di cui all’articolo 122-bis del Decreto Legge n. 34/2020, introdotto dal Decreto Legge n. 157 del 2021.
L’Agenzia delle Entrate chiarisce anche che nelle more dell’adozione del Decreto del Ministero della transizione ecologica di cui al comma 13-bis dell’articolo 119 del Decreto Legge n. 34 del 2020, relativo all’individuazione dei valori massimi per talune categorie di beni ai fini dell’asseverazione della congruità delle spese, è possibile fare riferimento ai prezzari individuati dal Decreto del Ministero dello sviluppo economico del 6 agosto 2020 (“Requisiti tecnici per l’accesso alle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici – cd. Ecobonus”), con i relativi allegati, oltre che ai prezzi riportati nei prezzari predisposti dalle regioni e dalle province autonome, ai listini ufficiali o ai listini delle locali camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ovvero, in difetto, ai prezzi correnti di mercato in base al luogo di effettuazione degli interventi.

Appalti pubblici Approfondimenti

Green Public Procurement (GPP)/appalti pubblici verdi: le misure di politica ambientale nelle procedure ad evidenza pubblica.

Gli Appalti pubblici verdi (“Green Public Procurement” o “GPP”) consistono in istituti di disciplina della politica ambientale che permettono alla Stazione Appaltante di scegliere servizi e forniture aventi ad impatto ridotto sull’ambiente.

Si tratta, dunque, del primo strumento legislativo nell’ambito degli appalti pubblici volto da un lato a ridurre il consumo energetico e dall’altro ad agevolare lo sviluppo sostenibile.

In primo luogo, l’art. 34 del codice dei contratti pubblici prevede che le stazioni appaltanti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione attraverso l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi (cd. CAM).

Ma prima di tutto è necessario capire cosa sono i criteri ambientali minimi. Gli stessi, definiti per le varie fasi del processo di acquisto, sono volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato.

I CAM sono dotati con Decreto del Ministro dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del mare e la loro applicazione sistematica ed omogenea consente di diffondere le tecnologie ambientali e i prodotti ambientalmente preferibili, inducendo gli operatori economici meno virtuosi ad adeguarsi alle nuove richieste della pubblica amministrazione.

Ma l’aspetto più importante è che i criteri ambientali minimi definiti dal predetto decreto, in particolare i criteri premianti, devono essere tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ex art. 95, comma 6, D. Lgs. 50/2016 e, nel caso di contratti relativi alle categorie di appalto riferite agli interventi di ristrutturazione, inclusi quelli comportanti demolizione e ricostruzione, i suddetti criteri ambientali minimi devono essere tenuti in considerazione, per quanto possibile, in funzione della tipologia di intervento e della localizzazione delle opere da realizzare, sulla base di adeguati criteri definiti dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (art. 34, comma 2, D. Lgs. 50/2016).

La gestione dei CAM necessita però di forti competenze ambientali e procedurali per la redazione di atti di gara di qualità che riduca i ricorsi e garantisca buoni feedback da parte di ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) che vigila sulla correttezza dei bandi pubblici anche sotto questo profilo ambientale (secondo le modalità indicate nel Protocollo siglato con il Ministero dell’Ambiente).

Nell’ambito di tali criteri possono rientrare:

certificazioni e attestazioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, quali OSHAS 18001, caratteristiche sociali, ambientali, contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell’opera o del prodotto;
il possesso di un marchio di qualità ecologica dell’Unione europea (Ecolabel UE);
il costo di utilizzazione e manutenzione, riguardo ai consumi di energia e delle risorse naturali, alle emissioni inquinanti e ai costi complessivi, inclusi quelli esterni e di mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici, riferiti all’intero ciclo di vita dell’opera, bene o servizio;
la compensazione delle emissioni di gas ad effetto serra associate alle attività dell’azienda.

Le stazioni appaltanti, nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento, procedono all’aggiudicazione degli appalti e all’affidamento dei concorsi di progettazione e dei concorsi di idee, sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita (art. 96, D.Lgs. 50/2016).

 

Costituiscono costi del ciclo di vita:

costi relativi all’acquisizione delle risorse;
costi connessi all’utilizzo, quali consumo di energia e altre risorse;
costi di manutenzione;
costi relativi al fine vita, come i costi di raccolta, di smaltimento e di riciclaggio.

Le aziende che intendono partecipare a procedure di gara pubbliche debbono pertanto adeguarsi agli standard ambientali sopra indicati: Firenze Legale è disponibile ad esaminare le caratteristiche e le certificazioni in possesso delle Vostre Aziende.

Approfondimenti

Espressioni sconvenienti nei rapporti con i magistrati o con i colleghi.

È principio fondamentale e soprattutto morale che nell’esercizio della professione l’avvocato deve porre ogni rigoroso impegno nella difesa del proprio cliente, senza però mai travalicare i limiti della rigorosa osservanza delle norme disciplinari e del rispetto che deve essere sempre osservato nei confronti della controparte, del suo legale, dei terzi e del magistrato, in ossequio ai doveri di lealtà, correttezza e ai principi di colleganza.

Il diritto di difesa, quindi, incontra un limite insuperabile nella civile convivenza e nel diritto della controparte, del suo legale o del giudice a non vedersi offeso o ingiuriato nel corso di un procedimento giudiziario.

L’avvocato ha, dunque, il dovere di comportarsi, in ogni situazione, con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive non solo nei confronti del collega avversario ma anche dei magistrati, delle parti e più in generale dei terzi, la cui rilevanza deontologica non è peraltro esclusa dalla provocazione altrui, né dallo stato d’ira o d’agitazione che da questa dovesse derivare (sentenza n. 42 del 25 Febbraio 2020).

Negli ultimi anni il Consiglio Nazionale Forense è intervenuto in più di un’occasione per fare chiarezza sulla normativa, evidenziando i limiti entro i quali è possibile esercitare il diritto di difesa e, quindi, le ipotesi di violazione dell’articolo 52 del Codice deontologico forense in cui incorre l’avvocato, basandosi soprattutto sulla norma di chiusura, secondo cui “la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza”. Del resto, “l’avvocato che faccia uso di espressioni sconvenienti ed offensive, anche mediante accuse rivolte direttamente ad un collega, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di colleganza e correttezza a cui ciascun professionista è tenuto” (in questi termini, Consiglio Nazionale Forense 20 marzo 2014 n. 31).

Secondo il Consiglio Nazionale Forense, il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nell’atto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e dell’adempimento del mandato professionale, oltre il quale si prefigura la violazione dell’articolo 52 del Codice deontologico, va individuato nella intangibilità della persona del contraddittore.

Pertanto, si rientra nella sfera del lecito quando la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, potendosi ammettere anche crudezza di linguaggio e asperità dei toni. Tuttavia, quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo, l’esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti (così, CNF 25 settembre 2017 n. 136; CNF 29 novembre 2012 n. 159).

Di conseguenza, violano l’articolo 52 le espressioni usate dal professionista che rivestono un carattere obiettivamente sconveniente ed offensivo e che si situano ben al di là del normale esercizio del diritto di critica e di confutazione delle tesi difensive dell’avversario, per entrare nel campo, non consentito dalle regole di comportamento professionale, del biasimo e della deplorazione dell’operato dell’avvocato della controparte, dovendo peraltro ritenersi implicito l’«animus iniuriandi» nella libera determinazione di introdurre quelle frasi all’indirizzo di un altro difensore in una lettera ed in un atto difensivo (cfr. CNF 18 dicembre 2017 n. 207; CNF 21 dicembre 2009 n. 185).

L’impianto sanzionatorio è il seguente:

Sanzione attenuata
Sanzione Edittale
Sanzione Aggravata

Avvertimento
Censura
Sospensione fino ad un anno

 

Ai fini del trattamento sanzionatorio della condotta contestata, tuttavia, il Consiglio territoriale è tenuto ad operare un bilanciamento tra la considerazione di gravità dei fatti addebitati ed i concorrenti criteri di valutazione, pure rilevanti, connessi all’età dell’incolpato ed all’assenza di precedenti disciplinari (così, CNF 22 dicembre 2014 n. 204; CNF 27 febbraio 2013 n. 22).

Approfondimenti

Il Superbonus 110%: via libera agli interventi di efficientamento energetico.

Il 5 ottobre sono stati pubblicati i decreti attuativi del cd. “Decreto Rilancio” in relazione al cd. Superbonus 110%.

Le norme citate disciplinano dunque le modalità di accesso alle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica e interventi antisismici degli edifici.

Si tratta, dunque, di misure che hanno l’obiettivo di favorire gli interventi di efficientamento energetico e antisismici, nonchè l’installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici.

Ma che cos’è il superbonus 110%?

Si tratta, di una misura di agevolazione che eleva al 110% l’aliquota di detrazione delle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021, per interventi in ambito di efficienza energetica, di interventi antisismici, di installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici.

Si rileva in primo luogo che tale detrazione non si sostituisce ma si aggiunge sia al sismabonus sia all’ecobonus, già presenti da qualche anno nel nostro ordinamento.

Ma l’aspetto più rilevante consiste nella facoltà per coloro che usufruiscono del Superbonus 110% di non optare per la detrazione diretta, ma di ottenere un’anticipazione sotto forma di sconto dai fornitori dei beni o servizi oppure di ottenere una cessione del credito corrispondente alla detrazione spettante.

La cessione può essere disposta in favore:

dei fornitori dei beni e dei servizi necessari alla realizzazione degli interventi;
di altri soggetti (persone fisiche, anche esercenti attività di lavoro autonomo o d’impresa, società ed enti);
di istituti di credito e intermediari finanziari.

La detrazione sarà ripartita in cinque quote annuali di pari importo, entro i limiti di capienza dell’imposta annua derivante dalla dichiarazione dei redditi.

Gli interventi interessati dal Superbonus possono essere “trainanti” o “trainati”.

Sono interventi trainanti quelli che possono essere eseguiti anche autonomamente e sono i seguenti:

interventi di isolamento termico sugli involucri
sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale sulle parti comuni
sostituzione di impianti di climatizzazione invernale sugli edifici unifamiliari o sulle unità immobiliari di edifici plurifamiliari funzionalmente indipendenti. Attenzione:
interventi antisismici: la detrazione già prevista dal Sismabonus è elevata al 110% per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021.

Rientrano nel Superbonus anche le spese per interventi “trainati”, ovvero eseguiti insieme ad almeno uno degli interventi principali di isolamento termico, di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale o di riduzione del rischio sismico.

interventi di efficientamento energetico
installazione di impianti solari fotovoltaici
infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici

Mediante i recentissimi decreti attuativi sono stati definiti, sotto un profilo tecnico, i requisiti da rispettare, sotto il profilo tecnico, per aver diritto alla detrazione delle spese. Sono inoltre stabiliti i massimali di costo specifici per singola tipologia di intervento e le procedure e le modalità di esecuzione di controlli a campione volti ad accertare il rispetto dei requisiti che determinano l’accesso al beneficio.

Infine, vengono stabilite le modalità di trasmissione del modulo delle asseverazioni, poi trasmesse ai vari organi competenti tra cui ovviamente l’Enea.

Per gli interventi la cui data di inizio lavori – comprovata tramite apposita documentazione – sia antecedente a quella di entrata in vigore del decreto, valgono invece le disposizioni del Decreto Ministeriale del 19 febbraio 2007. Per poter richiedere il superbonus 110% anche in caso di lavori effettuati prima del 6 ottobre è necessario acquisire l’asseverazione che comprenda la dichiarazione di congruità delle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021.

 

Appalti pubblici Approfondimenti

Le nuove procedure di affidamento dei contratti pubblici previste dal D.L. Semplificazione.

Il decreto legge n. 76/2020 “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”,
entrato in vigore dal 17 luglio 2020, introduce la deroga al comma 2 dell’articolo 36 (ed al comma 2 dell’articolo 157) del Codice dei contratti pubblici.
Il decreto legge “semplificazione” al fine di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché al fine di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19, fermo quanto previsto dagli articoli 37 e 38 del decreto legislativo n. 50 del 2016, prevede che le Stazioni Appaltanti possono procedere all’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35 del decreto legislativo n. 50 del 2016 secondo le seguenti modalità:
a) affidamento diretto per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a € 150.000;
b) procedura negoziata senza bando sempre nel rispetto di un criterio di rotazione:
– previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, per servizi e forniture di importo pari o superiore a €. 150.000 e fino alla soglia di €. 214.000 e per lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro,
– previa consultazione di almeno dieci operatori economici, ove esistenti, per lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiore a un milione di euro,
– previa consultazione di almeno quindici operatori economici, ove esistenti, per lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie di €. 5.350.000,
c) l’avviso sui risultati della procedura di affidamento deve contenere anche l’indicazione dei soggetti invitati,
d) gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga gli elementi descritti nell’articolo 32, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016,
e) per le modalità di affidamento di cui all’art. 1 D.L. n. 76/2020 la Stazione Appaltante non chiede le garanzie provvisorie di cui all’articolo 93 del decreto legislativo n. 50 del 2016, salvo che, in considerazione della tipologia e specificità della singola procedura, ricorrano particolari esigenze che ne giustifichino la richiesta, che la stazione appaltante indica nell’avviso di indizione della gara o in altro atto equivalente (nel caso in cui sia richiesta la garanzia provvisoria, il relativo ammontare è dimezzato rispetto a quello previsto dal medesimo articolo 93).

La norma è applicabile fino al 31 luglio 2021.

Dunque, si prospettano due tipi di affidamenti:
– Affidamento senza confronto di preventivi;
– Procedura negoziata senza pubblicazione di bando.

Da notare, comunque, che il Decreto Semplificazioni insiste nel richiamare il principio di rotazione rappresentata dall’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione. Pertanto, anche in applicazione della deroga prevista dal decreto semplificazioni, il gestore uscente deve essere escluso dalla procedura negoziata a prescindere dai modi in cui aveva ottenuto il precedente affidamento (Cons. Stato, V, 13.12.2017, n. 5854; Tar Toscana, Firenze, Sez. I, 2 gennaio 2018 n. 17).
Si ricorda che, anche con recentissime pronunce, la giurisprudenza ha rilevato che il principio di rotazione opera nelle “procedure negoziate” in cui l’amministrazione appaltante “non” consente, alla fonte, la partecipazione da parte di “tutti” gli imprenditori alla gara, ma solo ad una parte “selezionata”, da essa stessa, tramite la scelta nell’individuazione dei soggetti da invitare (ex multis Tar Sardegna, Cagliari, 2 gennaio 2020, n. 8).

Approfondimenti

L’adozione dei protocolli di sicurezza: come si difende l’azienda?

In questo periodo, stanno pervenendo presso il nostro studio varie richieste, da parte delle aziende, relative alla possibilità di impugnare vari provvedimenti: dai decreti e regolamenti governativi alle ordinanze ed ai provvedimenti amministrativi delle amministrazioni territoriali.

Norme e provvedimenti amministrativi.

A causa dell’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus Cd. Covid 19 stiamo assistendo ad una elevata produzione normativa e provvedimentale, nel cui ambito sono sicuramente ricompresi anche vari provvedimenti regionali e comunali.

Infatti, in attuazione dei provvedimenti normativi (leggi, decreti e regolamenti, non impugnabili davanti al giudice amministrativo, ma contestabili solo in via incidentale nell’ambito di un giudizio per illegittimità costituzionale), sono stati emanati innumerevoli provvedimenti dagli enti locali che stanno adottando misure restrittive sensibilmente diverse sul territorio, sia per i privati, sia per le aziende.

A titolo esemplificativo: con ordinanze comunali sono stati limitati gli ingressi da parte dei cittadini all’interno di market, supermarket e minimarket ad un massimo di due accessi settimanali e per un solo membro per nucleo familiare.

Ancora: sono state emanante ordinanze limitative delle uscite dall’abitazione ad una sola volta al giorno, autorizzando sempre un solo componente nucleo familiare, per recarsi in panifici, macellerie, pescherie, negozi di ortofrutta.

A fronte di provvedimenti di tale tenore, varie associazioni di categoria e gruppi di imprenditori hanno promosso impugnazioni avanti ai Tar di competenza territoriale.

Sennonché, in via generale, la giurisprudenza amministrativa maggioritaria si sta orientando verso il rigetto di tali ricorsi, rilevando che le ordinanze contingibili e urgenti impugnate sono state adottate in presenza dei presupposti di necessità e urgenza in materia sanitaria e che le stesse non si pongono in contrasto con le disposizioni dettate a livello nazionale e regionale, posto che gli impugnati provvedimenti si limitano a rendere più stringenti alcune delle misure prese a livello nazionale e regionale “con il dichiarato fine di evitare che il contagio nell’ambito comunale possa diffondersi attraverso comportamenti delle persone non in linea con l’obiettivo di limitare al massimo gli spostamenti e le uscite dalla propria abitazione per l’approvvigionamento dei necessari beni” (Tar Sardegna, decreto 7 aprile 2020, n. 122).

Il giudice amministrativo in sostanza, applica un bilanciamento tra i diritti fondamentali in gioco nel caso in esame, quali la libertà di circolazione, la riservatezza e, chiaramente, il diritto alla salute.

In particolare, il Consiglio di Stato (Sez. III, decreto 30 marzo 2020, n. 1553) ha espressamente valutato il diritto alla salute pubblica come valore superiore alla libertà di movimento, alla privacy e al lavoro, ritenendo che nella valutazione tra contrapposti interessi (rectius, diritti fondamentali), a fronte della compressione di alcune libertà fondamentali, deve essere accordata prevalenza alle misure volte a tutelare la salute pubblica.

A ciò ci aggiunga una valutazione di tipo strettamente pratico: l’evoluzione dell’attuale situazione emergenziale è talmente repentina da rendere spesso inattuali i provvedimenti impugnati, i quali vengono sostituiti da atti successivi che modificano e sostituiscono l’atto impugnato.

Verbali e sanzioni amministrative.

Ben diversa, invece, è la fattispecie relativa all’impugnazione di verbali applicativi di sanzioni derivanti dalla mancata esecuzione delle misure di sicurezza per la prevenzione del Covid. 19.

Ci concentriamo, in particolare, sulle sanzioni elevate alle aziende per la mancata o non corretta applicazione dei protocolli di sicurezza. Come noto, chi esercita attività economiche, produttive e sociali deve rispettare le normative anti Coronavirus contenute nel Decreto Legge n. 33 del 16 maggio 2020, nel D.P.C.M. 17 maggio 2020, nei protocolli nazionali anti contagio di ogni settore e nelle ordinanze regionali.

Il Decreto Legge n. 33 del 16 maggio 2020 all’art. 1 comma 15 stabilisce che “Il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.

L’articolo 2 del Decreto Legge n. 33 del 16 maggio 2020, prevede che le violazioni delle disposizioni del presente decreto, ovvero dei decreti e delle ordinanze emanati in attuazione del presente decreto, sono punite con la sanzione amministrativa da 400 a 3.000 euro e, nei casi in cui la violazione sia commessa nell’esercizio di un’attività di impresa, si applica la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni.

Tali provvedimenti sanzionatori possono presentare vari profili di criticità, anche perché non è ancora chiaro quale valore probatorio possano assumere le dichiarazioni del titolare di un’azienda in merito alla corretta esecuzione dei protocolli di sicurezza.

L’accertamento è attività svolta da ufficiali e agenti di polizia giudiziaria o altri organi addetti al controllo, svolta mediante diretta osservazione che viene incorporata nel verbale.

La contestazione è la comunicazione fatta (immediatamente dopo l’accertamento) al destinatario della pendenza di un procedimento amministrativo sanzionatorio a suo carico. Ha la funzione di informare legalmente il soggetto circa la natura, il contenuto sanzionatorio e le modalità di estinzione dell’obbligazione e della possibilità di ricorso, per cui ha forma scritta è requisito sostanziale. Eventuali vizi del procedimento possono riferirsi alla mancanza degli elementi fondamentali come l’omessa indicazione delle modalità di estinzione della violazione. La validità del verbale di contestazione è condizione di procedibilità del procedimento sanzionatorio: una eventuale invalidità impatta sull’intero procedimento, tuttavia può essere sanata dall’organo accertatore con una nuova contestazione, da notificarsi entro i termini perentori previsti.

La notificazione, se non avvenuta nell’immediatezza dei fatti ed a mani del trasgressore, deve essere effettuata entro il termine perentorio di novanta giorni dall’accertamento.

Le sanzioni sono irrogate dal Prefetto del luogo dove è stato accertato il fatto, per quanto concerne la violazione delle misure previste dall’art. 1 del decreto-legge adottate tramite DPCM; quanto alla violazione delle misure adottate ex art. 3 dalle Regioni ovvero dai Sindaci, le sanzioni verranno irrogate dal Presidente della Regione o dal Sindaco competenti per territorio.

La procedura di impugnazione segue le regole di cui alla Legge di Depenalizzazione, come modificata dal decreto legislativo n. 150/2011, ed ha come oggetto l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto o da altra autorità di cui all’art. 3 del decreto-legge citato.

Naturalmente, l’azione dell’imprenditore che intende salvaguardare la salute altrui ed insieme la propria ripresa economica, non può prescindere dalla collaborazione dei propri dipendenti.

Pertanto, una volta che il datore di lavoro abbia adeguatamente informato i lavoratori in ordine alle disposizioni Protocollari, riveste certamente rilievo disciplinare, la violazione da parte del dipendente delle nuove regole.

A titolo esemplificativo, potrebbe trattarsi dell’obbligo di sottoporsi alla misurazione della temperatura corporea (ancorché ciò gli impedirà l’ingresso sul luogo di lavoro), la mancata adozione di comportamenti idonei al mantenimento del distanziamento sociale (ove il datore di lavoro abbia provveduto a consentire il distanziamento con idonei strumenti organizzativi), il mancato utilizzo della mascherina protettiva e dei presidi di igienizzazione delle mani, il rifiuto di aderire ad una differente e necessaria organizzazione della turnistica o degli orari di lavoro e così via.

A ciò si aggiunga che l’esercizio da parte del datore di lavoro della sorveglianza circa l’adozione da parte del dipendente delle misure di igiene e sicurezza sul lavoro non è una facoltà, ma un obbligo.